Intelligenza artificiale: fedele aiutante o fine della creatività?

Introduzione

Quello dell’intelligenza artificiale sembra essere, se non l’unico, uno dei più dibattuti temi dell’ultimo periodo

Complice di questa grande diffusione del termine e dei vari servizi che si affidano a più o meno abili intelligenze artificiali, il grande successo ottenuto da Chat GPT, progetto sviluppato da Open AI che, in brevissimo tempo, si è guadagnato popolarità, ma anche critiche (come spesso accade in questi casi).

Prima di addentrarci in questo ginepraio di nomi, problematicità e tecnicismi, però, cerchiamo di capire di che cosa stiamo parlando.

Dopo aver chiarito che cosa si intende con AI, quali sono le più diffuse e di che cosa si occupano (o dicono di potersi occupare), cercheremo di capire se questi strumenti possono dirsi dei “partner creativi”, oppure dei “killer creativi”… robot che prenderanno il posto di scrittori, musicisti, videomaker, illustratori, attori, speaker… lasciando tutti senza lavoro.

Intelligenza artificiale: di che cosa si tratta?

Iniziamo dalla definizione (o meglio, dalle definizioni) di Intelligenza Artificiale. 

Tra quelle reperite, condividiamo con voi quelle che, a nostro parere, meglio inquadrano la questione, mantenendola all’interno dei suoi confini accademici:

  1. «L’intelligenza artificiale è una disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.» (Marco Somalvico) – (Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_artificiale)
  2. «L’IA sfrutta computer e macchine per imitare le capacità decisionali e di risoluzione dei problemi della mente umana.» – (Fonte: https://www.ibm.com/it-it/topics/artificial-intelligence)
  3. «L’intelligenza artificiale (IA) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. L’intelligenza artificiale permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo specifico. Il computer riceve i dati (già preparati o raccolti tramite sensori, come una videocamera), li processa e risponde. I sistemi di IA sono capaci di adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia.» – (Fonte: https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20200827STO85804/che-cos-e-l-intelligenza-artificiale-e-come-viene-usata)

 

Da queste definizioni si evince come, almeno per il momento, molti concordino su una definizione di AI intesa come “sistema in grado di imitare il ragionamento umano”. Definizione che chiama in causa almeno due concetti importantissimi: quello di “umano” (stiamo progettando qualcosa che possa imitare noi umani e, pertanto, qualcosa che dovrà essere simile e noi); quello di “imitazione” (stiamo progettando qualcosa che “sembri” umano, qualcosa che imiti processi, senza necessariamente disporre di auto-coscienza e consapevolezza).

In realtà, la situazione è un po’ più complessa di così, e il dibattito su che cosa sia (o debba essere) una AI è aperto, variegato e tutt’altro che concluso. Basti pensare che, dal punto di vista filosofico, è aperto e acceso il dibattito che vede contrapposte due tipologie di AI, definite “AI forte” e “AI debole”:

  • Nel caso della “weak AI” (intelligenza artificiale debole) si ipotizza una macchina programmata con regole ben definite che le consentano di comportarsi in modo intelligente. Sostanzialmente, una macchina che imita, simula l’intelligenza, la riproduce, ma senza avere consapevolezza di quello che sta facendo.
  • Nel caso della “strong AI” (intelligenza artificiale forte), invece, vi è chi sostiene che sia possibile realizzare una macchina che agisca in modo intelligente perché cosciente di come realmente si comporta. Questa è la posizione di chi sostiene che le macchine potranno diventare (o siano già diventate) senzienti e auto-coscienti.

Approfondire l’argomento Intelligenza Artificiale

Per chi volesse approfondire ulteriormente, riportiamo qui sotto alcuni link a fonti e ad articoli dai quali vi consigliamo di cominciare quello che, se deciderete di intraprenderlo, si rivelerà un lungo e affascinante viaggio in territori ancora non del tutto esplorati!

L'intelligenza artificiale oggi

 L’Intelligenza Artificiale, oggi

A cosa servono i software progettati con Intelligenza Artificiale?

Sicuramente il termine intelligenza artificiale che vediamo circolare su blog e social è molto meno legato a ricerche accademiche e dibattiti filosofici e, per contro, molto più simile agli svariati servizi (software, tools, strumenti digitali) che, grazie all’uso di una AI possono svolgere uno o più compiti. 

Le intelligenze artificiali delle quali sentiamo parlare nei Reel di Instagram e nei video su TikTok sono da intendersi, quindi, molto più vicine al loro “effetto”, piuttosto che alla loro “essenza” di software alla ricerca dell’imitazione perfetta del ragionamento umano. 

Non che non vi sia, dietro queste app e questi tool una ricerca di questo tipo, sia chiaro. Ma il concetto di AI divenuto mainstream è una versione espressa e concentrata della complessità e della difficoltà che il concetto di AI “pura” si porta appresso.

Pertanto, ora cercheremo di capire che cosa sono queste “AI” divenute popolari, che cosa sanno fare, e perché spaventano tanto alcuni creativi, portandoli sul punto di chiedersi: «Le intelligenze artificiali ci porteranno via il lavoro?».

Per rispondere alla domanda posta qui sopra, però, capiamo prima  a cosa servono i software più popolari progettati con l’intelligenza artificiale .

Brevissima premessa: c’è molta più AI in giro di quanto non si pensi!

Premessa un po’ più lunga: ci sono applicazioni, strumenti, software, elettrodomestici che, al loro interno, integrano una AI (o una sedicente tale), con lo scopo di automatizzare o ottimizzare processi. In alcuni casi, naturalmente, si dice che qualcosa è mosso da una AI solo per questioni di mero marketing, proprio perché in questo periodo il termine è divenuto pop e domina la discussione online e offline. In generale, però, teniamo presente che il nostro robot aspirapolvere, il frigorifero che ci avvisa quando il cibo è in scadenza, la lavatrice che riconosce i tessuti del bucato e adegua di conseguenza il tipo di lavaggio… sono tutte intelligenze artificiali. Solo che, forse, fanno “meno scena” di altre e, quindi, di queste non si parla più di tanto. Eppure, crediamo sia bene tenere a mente la loro esistenza e la loro “limitatezza”, perché può ricordarci quanto, alla fine, una AI sia solo un software, estremamente complesso, che svolge un task. E nulla più. Almeno, per ora…

Ma veniamo alle AI più popolari, elenchiamole, e cerchiamo di capire di che cosa si occupano. Qui di seguito ne nominiamo alcune e, poi, al termine del paragrafo, forniamo qualche link per chi volesse scendere ancora più a fondo e addentrarsi sempre più in questo mondo popolato da amichevoli bot.

intelligenza artificiale chat gpt dove tutto è iniziato

Chat GPT (by Open AI): ove tutto ebbe inizio

Chat GPT è un modello di elaborazione del linguaggio naturale basato su GPT, ovvero Generative Pre-trained Transformer, una tecnologia di deep learning sviluppata da OpenAI. Il modello Chat GPT è stato creato per simulare una conversazione con un essere umano, utilizzando l’elaborazione del linguaggio naturale per comprendere il contesto e generare risposte appropriate. Questo modello è stato sviluppato da OpenAI, un’organizzazione di ricerca nell’ambito dell’intelligenza artificiale fondata da Elon Musk, Sam Altman e altri imprenditori del settore. Chat GPT è stato presentato nel 2019 come parte di una serie di modelli di GPT sviluppati da OpenAI.

Oggi, Chat GPT viene utilizzato in una varietà di applicazioni, dalle chatbot alle risposte automatiche alle email. La sua capacità di elaborare il linguaggio naturale lo rende un’opzione convincente per migliorare l’esperienza del cliente e semplificare i processi aziendali. Non solo, oggi Chat GPT è il “motore” di tanti altri servizi che, grazie all’uso della API pubbliche possono sfruttare la potenza e le capacità di questo modello linguistico, per erogare servizi più specifici ai propri utenti.

In sintesi: Chat GPT è una AI in grado di recepire una richiesta da parte dell’utente e generare un output in formato testo.

 

Bard: la risposta di Google a Open AI

Bard è un’IA sviluppata da Google nel 2020 per la scrittura. La sua funzione principale è quella di aiutare gli utenti a scrivere testi di qualità, fornendo suggerimenti per migliorare la grammatica, lo stile e la struttura del testo.

Bard è stata creata da un team di ricercatori di Google, guidati da Andrew Dai. La sua tecnologia è basata sulle reti neurali, un approccio all’IA che si ispira alle connessioni neuronali del cervello umano.

L’obiettivo di Bard è quello di migliorare la qualità della scrittura online e di rendere la scrittura più accessibile a tutti. Con l’uso dell’IA, gli utenti possono scrivere testi di alta qualità in modo più efficiente e con meno sforzo, migliorando così la loro produttività.

 

Midjourney: generatore di immagini

Midjourney è un software basato sull’intelligenza artificiale che utilizza l’elaborazione del linguaggio naturale, il machine learning e il deep learning per generare immagini a partire da input testuali.

È stato lanciato nel luglio 2022 ed è stato creato da un team di sviluppatori di Midjourney, un laboratorio di ricerca fondato nel 2022, con l’obiettivo di cambiare il modo in cui le persone interagiscono con l’arte.

Per ottenere un’immagine, l’utente deve inserire degli input testuali chiamati prompt. Midjourney restituisce quattro immagini a partire da ogni prompt. Midjourney è stato utilizzato da artisti e interior designer, ma può essere utilizzato da chiunque voglia creare opere d’arte digitali.

 

Perplexity: il motore di ricerca con l’intelligenza artificiale

Perplexity AI è un motore di ricerca basato sull’intelligenza artificiale, che utilizza modelli di linguaggio per fornire risposte precise alle domande degli utenti. È stato creato nel 2022 da Srinivas, Denis Yarats, Johnny Ho e Andy Konwinski, ex membri di OpenAI, Meta, Quora, Bing e Databricks. Il suo obiettivo è quello di fornire risposte più complete e accurate rispetto ai motori di ricerca tradizionali, grazie alla sua capacità di citare le fonti delle informazioni fornite.

Perplexity AI utilizza il modello GPT-3 di OpenAI per la sua architettura. Inoltre, può essere utilizzato come chatbot grazie alla sua capacità di conversare con gli utenti tramite l’apprendimento automatico e l’elaborazione del linguaggio naturale.

Tra le sue funzionalità ci sono la generazione di riassunti istantanei, la possibilità di porre domande rapide dalla barra degli strumenti e la capacità di rispondere alle domande degli utenti in tempo reale.

tra le sue funzionalità intelligenza artificiale

 Per approfondire: quali e quante AI esistono?

Se vi sentite pronti ad andare oltre il concetto di AI ed esplorare l’universo degli Agenti Autonomi, allora vi consigliamo di leggere questo articolo dedicato all’argomento:

https://www.melablog.it/chatgpt-e-superato-e-ce-gia-di-meglio-ecco-autogpt/

Qui di seguito, invece, riportiamo un elenco di AI suddiviso in base alle loro “capacità creative” (per la creazione di questo elenco abbiamo preso in considerazione le seguenti capacità creative: produzione testuale, produzione video, produzione di immagini, produzione di brani musicali).

Quali intelligenze artificiali esistono? Che cosa possono fare?

Elenchiamo di seguito un po’ di AI, divise per “capacità creative”. Ognuna ha il suo link e, se deciderete di cliccarci sopra… buon viaggio! 

Intelligenze artificiali per la scrittura di testi
  • Hypotenuse AI: è un assistente di scrittura che utilizza l’intelligenza artificiale per generare idee e contenuti.
  • Copy.ai: è un software di copywriting che utilizza l’intelligenza artificiale per scrivere testi.
  • Jarvis.ai: è un assistente di scrittura che utilizza l’intelligenza artificiale per creare contenuti.

Intelligenze artificiali per la produzione di immagini

  • Stable Diffusion: utilizza l’intelligenza artificiale per generare opere d’arte.
  • Midjourney: già citata in questo articolo, è una AI che produce immagini e fotografie.
  • Bing: sì, perché anche il motore di ricerca di casa Microsoft ha integrato la potenza di Chat GPT, sia per la produzione di testi, sia per la.
  • Dall E: prodotto dalla già citata OpenAI, questo software è capace di realizzare immagini a partire da prompt testuali. 

Intelligenze artificiali per la produzione di video

  • Lumen5: è un software che utilizza l’intelligenza artificiale per creare video a partire da testi.
  • Synthesia: altro software che crea video da prompt. Con speaker ed effetti video. 

Intelligenze artificiali per la produzione di musica

  • AIVA: è un’AI che crea musica originale in base alle preferenze dell’utente.
  • MusicLM: prodotto di casa Google che è in grado di produrre un brano musicale sulla base di una descrizione fornita dall’utente. Assolutamente affascinante, lo si può approfondire da questo link. 

Intelligenze Artificiali: creatività potenziata o concorrenza sleale

 Intelligenza Artificiale: creatività potenziata o concorrenza sleale?

Come abbiamo già scritto, i software di AI sono molto diffusi e da molto tempo, in ambiti che, però, non hanno mai ottenuto la popolarità raggiunta dalle chat generative di Open AI e Google (per citare i due casi più eclatanti, ma sopra ne abbiamo menzionati altri, anche in ambiti diversi dalla produzione testuale).

Oggi, però, le capacità dell’IA hanno penetrato le industrie creative causando una significativa trasformazione. L’integrazione di software di intelligenza artificiale nel mondo creativo sta rapidamente stravolgendo ogni cosa, aprendo nuove possibilità, innestando tuttavia anche forti dubbi in chi si chiede se, un giorno, non vi sarà più spazio per gli artisti, perché faranno tutto i robot.

L’intelligenza artificiale: il miglior amico del creativo

Cerchiamo ora di capire in che modo è possibile adoperare i software di intelligenza artificiale come “acceleratori di creatività”, o come “fedeli compagni”. 

Nel paragrafo successivo, invece, affronteremo tematiche quali il rischio per i posti di lavoro, le controverse questioni relative al diritto d’autore e al plagio, e altre tematiche strettamente connesse con la produzione automatica (rapidissima e incontrollata) di contenuti creativi.

Ma iniziamo dalle cose belle: l’intelligenza artificiale è il miglior amico dell’artista! Basta seguire queste semplici regole…

 

Datti un obiettivo chiaro

Anche se a volte sembra magia, l’intelligenza artificiale è uno strumento e, come tale, va utilizzato. Quindi, deve esserti chiaro che cosa vuoi, e devi sapere che cosa chiedere all’AI per ottenere risposte pertinenti. 

Avere una visione di ciò che si vuole ottenere, infatti, rende più facile decidere che cosa si allinea con il risultato desiderato e che cosa, invece, ha bisogno di ulteriori manipolazioni.

 

Attua una collaborazione flessibile con l’AI

L’AI può essere un potente partner nel tuo processo creativo

Usa l’AI come strumento per supportare le tue idee creative e spingere i tuoi limiti, ed immagina che sia una sorta di aiutante, con il quale è importante attuare un processo iterativo. 

Lavora “insieme” all’intelligenza artificiale, per sviluppare le tue idee, perfezionarle, modificarle, rivederle. Non aspettarti che sia buona la prima, e non accontentarti del primo risultato ottenuto.

 

Sviluppa le tue abilità di “prompting”

Ovvero, allenati a creare dei “prompt” sempre più precisi e funzionali, capaci di farti ottenere esattamente quello che ti aspetti da una intelligenza artificiale. 

Non hai idea di che cosa sia un prompt? 

Un prompt è l’input che dai all’AI (ciò che le chiedi, le parole che usi per chiederglielo, il livello di dettaglio che raggiungi nel descrivere le tue richieste)

Sviluppare le proprie abilità di prompt engineering può fornire un maggiore controllo nel processo creativo, e consente di avere output sempre più vicini a quello che si ha in mente, riducendo così le iterazioni uomo-AI (delle quali parlavamo sopra) necessarie per passare dall’idea al risultato creativo.

 

Sperimenta e impara

Questo consiglio vale per tutto: dal tennis ai giochi di carte, dal marketing alla cucina. E l’intelligenza artificiale non fa eccezione, perché anch’essa, come ogni altro prodotto umano, è in costante evoluzione. Pertanto: sperimenta con diversi strumenti basati su AI, per trovare quello che funziona meglio per te. E se qualcosa non va come vuoi, sperimenta altrove… male non può fare!

intelligenza artificiale il peggior nemico del creativo

 L’intelligenza artificiale: il peggior nemico del creativo!

Ogni creativo deve prestare attenzione a quello che esce da una AI, perché gli errori e le imprecisioni sono sempre dietro l’angolo.

Le intelligenze artificiali a volte “inventano un po’ troppo”, creando output stralunati, commettendo imprecisioni, scrivendo vere e proprie bugie.

Qui di seguito vediamo un po’ di best practices per “non farsi fregare” dalle AI…

Non fidarti mai soltanto delle Intelligenze Artificiali

Sebbene l’AI possa essere uno strumento potente nel processo creativo, è importante educarsi su come usarlo efficacemente. Una comprensione limitata delle limitazioni dell’AI può ostacolare la tua creatività ed efficienza. E, come abbiamo detto, non sempre dicono il vero (a volte sbagliano, a volte inventano, quindi… è sempre bene verificare che non stiano commettendo inesattezze).

Non sacrificare la creatività per l’efficienza

L’AI può aiutarti a risparmiare tempo e risorse, ma non dovrebbe andare a discapito della tua creatività. Non lasciarti tentare dall’usare l’AI per automatizzare interamente il processo creativo, la creatività e l’intuizione umana sono ancora cruciali per produrre un lavoro originale.

 

Non trascurare gli aspetti etici

L’AI solleva questioni etiche, come il pregiudizio e la privacy, che devono essere affrontate. Non ignorare questi problemi, piuttosto prendi provvedimenti per risolverli. 

Anzi, se hai voglia di iniziare ad approfondire l’argomento, consigliamo qui di seguito un paio di link che affrontano due o tre tematiche davvero molto, molto interessanti:

 

Intelligenze biologiche, al tuo servizio

Hai bisogno di esseri umani, in carne ed ossa, che aiutino il tuo brand o la tua azienda ad ottenere il meglio dall’Intelligenza Artificiale e da quello che può offrire ai creativi e ai content creator? Allora, parliamone. Contatta Naxa e saremo lieti di supportati in questo grande passo verso il futuro.

PMI: sfide eccezionali e come affrontarle

Introduzione e fonti

Questo articolo tratta dei grandi sconvolgimenti che hanno reso il mercato un “mare in tempesta”, offrendo spunti per aiutare le PMI a mettere in atto cambiamenti strutturali necessari ad affrontare il futuro, nonché regole e consigli per gestire attività di B2B in questo periodo così complesso e povero di certezze. 

 

In particolare, si analizzano i quattro cambiamenti strutturali più significativi che le PMI si trovano ad affrontare, nonché i quattro pilastri della vendita B2B che le aziende dovrebbero tenere in considerazione per costruire la propria strategia di vendita.

Per la stesura di questo articolo abbiamo fatto affidamento sul nostro e-book “Competitività nel B2B: 4 punti strategici per spaccare il mercato”, a sua volta strutturato e ispirato all’interessantissimo articolo “Strategia PMI – Guida alla competività B2B, edizione 2023 – Combattiamo nei mercati più difficili della storia. La tua azienda è armata per affrontarli?”. Oltre a queste, che consideriamo quali fonti principali (forniamo i link alla fine dell’articolo, nel paragrafo dedicato), abbiamo utilizzato altre fonti e altri riferimenti, che saranno segnalati di volta in volta.

lo scenario guerre e virus

Lo scenario: guerre & virus

Il mercato è sempre stato qualcosa di fluido e mutevole. Un mare in costante movimento, del quale solo pochi e attenti naviganti sapevano interpretare i segni e leggere i comportamenti. Con l’avvento del digital, prima, e con il susseguirsi di una serie di eventi imponderabili quanto catastrofici, il mercato è divenuto, negli Anni Venti del secondo millennio, un vero e proprio mare in tempesta.

In questo scenario le PMI (piccole e medie imprese) si trovano a dover navigare, molto spesso senza una guida, incontrando ostacoli e sfide che rischiano di compromettere profitti e posti di lavoro, quando non è a rischio addirittura la loro stessa esistenza.

Per questi motivi, tanti imprenditori sono alla costante ricerca di metodologie e tecniche efficaci per affrontare le sfide che il mercato pone dinanzi a loro. Sfide che, come abbiamo detto, dal 2019 al 2023 si sono contraddistinte per la loro particolare intensità.

In questo articolo, oltre a definire un po’ meglio quali grandi sconvolgimenti hanno reso il mercato un “mare in tempesta“, offriremo anche uno spunto per aiutare le PMI a mettere in atto cambiamenti strutturali necessari ad affrontare il futuro, nonché regole e consigli per gestire attività di B2B in questo periodo così complesso e povero di certezze.

Per cominciare, però, parliamo di come la Pandemia Globale di Covid-19, prima, e lo scoppio della guerra Russo-Ucraina, poi, hanno mutato per sempre alcuni aspetti dei mercati internazionali. 

La Pandemia Globale di Covid-19

Ad alcuni sembreranno passati secoli, ad altri, invece, sembrerà che lo spettro del Covid-19 sia ancora presente tra noi. Ad ascoltare alcuni, pare tutto un ricordo lontano. Per altri, invece, il virus corre veloce e muta, ancora ed ancora, in Paesi più o meno distanti dal nostro. Quello che è certo, però, è che la cicatrice – lasciata dai lockdown e dalla paura, dalla chiusura delle aziende e dagli ospedali intasati di malati – è ancora fresca. Quella stessa cicatrice ha lasciato un segno profondo nel tessuto industriale italiano, principalmente costituito da PMI, e ha portato ad enormi cambiamenti economici strutturali, non solo in Italia, ma all’intero pianeta.

Prima della pandemia, i paesi asiatici erano “la fabbrica del mondo”, a seguito della delocalizzazione delle produzioni praticata da piccole, grandi e grandissime aziende occidentali. Con il Covid-19, però, il delicato sistema delle catene di fornitura mondiale (le famose “supply chain”) è saltato, portando a una serie di conseguenze che hanno avuto un forte impatto sulla produzione, sull’economia e sulla vita di miliardi di persone:

  • produzioni rallentate
  • trasporti bloccati
  • tempi di consegna incredibilmente dilatati

Ai punti sopra elencati si è aggiunta anche l’inflazione, che ha costretto molte aziende a rendersi conto di come la dipendenza da fornitori unici (e lontani) sia qualcosa di troppo, troppo rischioso. 

Il conflitto Russo-Ucraino

Lo scoppio del conflitto Russo-Ucraino, che è andato subito configurandosi, de facto, come una “guerra Europea”, ha avuto grandissime implicazioni sui mercati, perché ha coinvolto due Nazioni responsabili della produzione e/o dell’esportazione di materie prime fondamentali in tantissime supply chain (fattore, questo, che si è riverberato su altre Nazioni, non direttamente o indirettamente coinvolte con il conflitto).

La conseguenza immediata, della quale sono ancora visibili le onde d’urto sui mercati globali, è stata la crisi energetica: ovvero, un improvviso aumento di costi dell’energia, dovuti ad una serie di fattori concomitanti (dall’aumento dei costi imposti dalla Russia ad una serie di speculazioni avvenute sui mercati, pervasi da paura, incertezza, e una buona dose di avidità).

A questo proposito c’è chi crede che, nel lungo termine, andrà a modificarsi la struttura di fornitura dell’energia in Europa. I costi dell’energia cresceranno per almeno 2 o 3 anni e il mercato russo sarà escluso ancora per molto tempo dai rapporti con l’Europa. 

Guerre & Virus: approfondire lo scenario

Per approfondire ulteriormente le tematiche trattate nei paragrafi precedenti, vi invitiamo a consultare le seguenti fonti. Inoltre, vi ricordiamo di consultare anche approfondimenti e fonti presenti in coda a questo articolo:

  • «Il mondo postglobale […] non offre interpretazioni inoppugnabili, né evoluzioni ben definite; l’incertezza si sta sostituendo sempre più alla probabilità e al rischio misurabile», si legge in un interessante approfondimento apparso sul Sole24Ore, intitolato Pandemia, clima, guerra, economia: le quattro crisi dell’età postglobale, nel quale si cita un rapporto stilato dal Centro Einaudi. Il pezzo è del 2022, ma racconta molto bene quello che è accaduto e l’impatto che gli eventi hanno avuto sul mercato e sulle aziende. 
  • Nell’articolo “Fuga dalle news: come pandemia e guerra hanno cambiato il nostro rapporto coi media”, invece, si esplora principalmente il tema dei contenuti e della perdita di fiducia nelle news da parte dei cittadini. In questo articolo, però, vi sono interessanti spunti grazie ai quali è possibile ragionare su come evolverà il mercato, specialmente se considerato sempre più dominato dall’informazione, nell’accezione più ampia del termine (un’accezione dai significati molteplici: news, ma anche pubblicità, racconto, ma anche storytelling). In particolare, uno dei possibili scenari futuri è così descritto: “Lo scenario Trionfo dei contenuti, prevede che i possessori dei contenuti siano i trionfatori della transizione di mercato. Anche qui dovranno integrare la catena del valore, sottraendo i contenuti alle piattaforme e distribuendoli con propri canali raggiungendo i consumatori direttamente.”. L’articolo è disponibile cliccando su questo link.
  • “Lo scenario geoeconomico mondiale è dominato dalle estreme tensioni e incertezze generate dall’invasione russa in Ucraina. L’impatto sull’attività economica agisce come uno shock di offerta profondo, al momento difficilmente quantificabile, perché il quadro è in continua evoluzione.”, si legge in un rapporto di previsione realizzato dal Centro Studi Confindustria. Il documento fa riferimento al periodo della primavera 2022, ma costituisce comunque un valido punto per approfondire la questione e la propria conoscenza su eventi che, seppur divenuti già “Storia”, fanno comunque parte di una Storia che ha ancora pesantissime ripercussioni sul presente. Il testo, disponibile in PDF, si intitola L’ECONOMIA ITALIANA ALLA PROVA DEL CONFLITTO IN UCRAINA.

l impatto strutture e cambiamenti

L’impatto: strutture & cambiamenti

Analizzando lo scenario sopra descritto, funestato da guerra e pandemia – e da ciò che queste hanno portato, nei mercati globali – siamo giunti ad identificare alcuni punti che meritano una particolare attenzione.

In particolare, in questa parte dell’articolo ci concentreremo nell’analizzare quelli che, a nostro parere, sono i quattro cambiamenti strutturali più significativi che le PMI si trovano (e si troveranno) ad affrontare.

Oltre a questo, abbiamo anche voluto identificare quelli che abbiamo definito come “I Quattro Pilastri della Vendita B2B“, ovvero punti essenziali (da comprendere e da mettere in atto) per sperare di poter trarre il massimo da un momento storico che, come abbiamo visto, riserva particolari sfide per le Piccole e Medie Imprese del tessuto imprenditoriale italiano.

Per ognuno dei due macro-argomenti sopra descritti abbiamo dedicato un paragrafo, al termine del quale proporremo una breve checklist, riportando, in forma sintetica, i contenuti chiave, nella speranza di poter offrire agli imprenditori uno strumento rapido e di facile accesso per iniziare, fin da subito, a cercare le proprie modalità e i propri sistemi per far fronte alla volatilità del mercato.

 

Analizziamo i 4 cambiamenti strutturali del mercato 

Quali sono, dunque, i quattro cambiamenti strutturali che il mercato ha subito e che ogni imprenditore (e, quindi, ogni Piccola e Media Impresa) si trova a dover affrontare, per cercare di “andare avanti” e di continuare a produrre risultati e utili, con la propria impresa?

Qui di seguito elenchiamo gli ostacoli che noi abbiamo individuato e, per ognuno di essi, riportiamo considerazioni, consigli e strategie utili per affrontarli al meglio. 

Differenziarsi agli occhi dei clienti

Le persone, oggi più che mai, sono costantemente bombardate di informazioni e offerte commerciali.  Per emergere nel mercato è fondamentale differenziarsi con un beneficio, una specializzazione, un’esperienza o una promessa di valore unica e diversa da tutto il resto.

Ecco perché la prima sfida è: differenziarsi per evitare di essere sostituibili (e, quindi, sostituiti).

Tutto questo si aggiunge ad un cambiamento che il digital ha portato nella mente dei consumatori. Le persone, infatti, sono esasperate dalle incertezze dell’epoca e non sono più tolleranti… hanno fretta (tutti abbiamo fretta, ammettiamolo) e la fiducia è un bene sempre più prezioso (difficilissimo da conquistare, ma facilissimo da perdere). Ecco perché le persone si aspettano velocità (nell’erogazione dei servizi, o nella consegna dei prodotti) e, poiché tutti noi siamo sempre più assorti in più attività contemporaneamente (specialmente quando siamo online, ma non solo), o troviamo in fretta ciò di cui abbiamo bisogno, oppure, semplicemente, passiamo oltre…

Oggi le persone “passano oltre”. Differenziarsi in un istante, ai loro occhi, significa convincerli a “non passare oltre”. Significa farli rimanere. 

Una visione oggettiva del mercato

Un’altra sfida che le PMI si trovano costrette ad affrontare è quella di mantenere una visione oggettiva del mercato.

L’esperienza in un determinato settore o mercato è fondamentale, ma può portare anche a vicoli ciechi (o bias, direbbe qualcuno).

Se si è troppo “dentro” la propria azienda, settore o realtà, è facile perdere la visione completa dell’intero scenario o dimenticarsi di considerare la percezione o le sensazioni del pubblico.

Ecco perché gli imprenditori, oggi più che mai, devono cercare di aprire i propri orizzonti a spingersi oltre i confini di ciò che conoscono (o ritengo di sapere). Il mondo è cambiato velocemente, e cambierà sempre più in fretta e, mai come in questa epoca, sapere è potere. Conoscere significa prevedere quello che potrebbe accadere e, in qualche modo, poterlo anticipare.  

L’esperienza (utente) vale più del prodotto

La crescente importanza dell’esperienza dell’utente rispetto alla qualità del prodotto è un’altra sfida per le PMI.

Oggi la qualità dei prodotti o dei servizi, da sola, non basta per emergere: ciò che conta per i clienti è l’esperienza di acquisto, la fruizione del prodotto / servizio e la gratificazione che la soluzione del loro problema iniziale porta. Specialmente se questa soluzione deriva, appunto, dall’acquisto di un prodotto o di un servizio.

Di certo, una PMI ha il dovere di offrire prodotti di qualità. Non stiamo dicendo di prediligere la forma a discapito del contenuto. Quello che diciamo è che, nel nuovo assetto che il mercato ha preso, prodotti di qualità privi di una solida struttura comunicativa – in grado di trasmettere agli utenti una percezione positiva – avranno sempre più difficoltà a suscitare curiosità e ad incontrare i favori delle persone.

Il consiglio che possiamo dare, a questo riguardo, può essere così riassunto: fate buoni prodotti, e fate in modo che la loro bontà possa essere percepita (anche grazie a tutti gli strumenti che marketing e comunicazione possono offrire, specialmente nell’era del digital).  

Il tempo delle analisi

È finita l’epoca dei “si è sempre fatto così” e dei “secondo me”.

Ora più che mai, le decisioni dovranno essere “data-driven” e frutto di attente analisi. Analisi che continueranno ad avere un margine di errore ed una certa aleatorietà, ma che comunque porranno le loro basi su una base di certezza o, almeno, di “alta probabilità”.

Tutto questo sarà possibile, come abbiamo già detto, grazie al digital e, soprattutto, grazie a quello che alcuni hanno definito come “il nuovo petrolio”, ovvero: i dati. Dati che sono generati e processati ogni istante e che, grazie ad una loro attenta lettura, possono permettere a PMI ed imprenditori di compiere scelte più oculate. Per affrontare “il tempo delle analisi”, le aziende dovrebbero comprendere come alcuni fenomeni impattano il loro settore, rivedere la loro strategia di competitività, sviluppare una progettualità di medio-lungo periodo, cercare aiuti e strumenti per affrontare i cambiamenti e investire nella formazione del team.

Inoltre, le PMI dovrebbero evitare di pensare che i mercati siano gli stessi di prima, di non considerare i competitor indiretti, di non adattare le strategie di vendita e marketing e di non prendere in considerazione il nuovo atteggiamento dei clienti. Infine, le PMI si trovano di fronte alla necessità di prendere decisioni strategiche basate sui dati anziché sulle opinioni personali. Mercati complessi richiedono un approccio strategico professionale, e prendere decisioni sulla base di sensazioni o esperienze personali non è più adatto al mercato di oggi.

In uno scenario di questo tipo è importante comprendere che anche una mancata vendita insegna sempre qualcosa. Analizzare le mancate vendite e sviluppare un approccio di vendita ben strutturato può fare la differenza. Da questo tipo di analisi, infatti, possono emergere lacune e problematiche legate alla vendita che, se adeguatamente corrette, possono contribuire a migliorare l’efficacia delle attività e delle strategie intraprese.

Oggi, le decisioni strategiche vanno prese sulla base dei dati frutto di analisi approfondite e mirate alle proprie esigenze. Per affrontare queste sfide, le PMI dovrebbero competere con una strategia e un marketing seri anziché solo con il prezzo o la qualità, e comprendere che ciò che si vende è la soluzione a un problema del cliente.

Recap: cambiamenti strutturali e soluzioni

  1. Il cliente ha cambiato visione: differenziarsi è fondamentale per emergere.
  2. La tua esperienza non vale più niente: se sei troppo immerso nella tua realtà, sei suscettibile di perdere la percezione del cliente.
  3. La qualità? Anche questa ormai vale zero: l’esperienza è ciò che conta per i clienti, non la qualità tecnico-funzionale di un prodotto o servizio.
  4. I “secondo me” e i “proviamo così” non funzionano più: le decisioni strategiche devono essere prese sulla base dei dati. La strategia e il marketing sono l’arma decisiva per emergere nei mercati iper-competitivi di oggi.

Analizziamo i 4 pilastri della vendita B2B

Analizziamo i 4 pilastri della vendita B2B

Le PMI si trovano ad affrontare numerose sfide, tra cui mercati ostici, trattative complesse e problemi inaspettati. 

Per superare queste difficoltà, è necessario adottare una strategia di vendita ben strutturata.

Per fornire alle PMI una struttura sulla quale costruire la propria strategia di vendita abbiamo individuato i quattro pilastri della vendita B2B. Ne forniamo una breve descrizione qui di seguito, corredando ognuno di essi i vantaggi e le opportunità che possono portare agli imprenditori e alle aziende.  

Definire il proprio target

Definire il proprio pubblico target è fondamentale per strutturare un’offerta di successo. 

La scelta di mirare ad un pubblico specifico permette di differenziarsi dai competitor e di non essere considerati come uno dei tanti. Inoltre, è importante identificare i decision maker all’interno delle aziende buyer e le persone che possono influenzarli, come collaboratori, soci e manager. 

Comprendere il “pain point” del proprio target

Ecco un’altra componente fondamentale della strategia di vendita! I pain point rappresentano la conseguenza concreta e sentita dei problemi che il cliente vuole risolvere. 

Comprendere i pain point del cliente permette di offrire soluzioni specifiche che risolvono il suo problema e di diventare un fornitore affidabile e fidelizzato. 

Vendere soluzioni specifiche

Vendere soluzioni passa attraverso la scelta di offrire una soluzione specifica al pain point del cliente. 

Nel B2B, la soluzione può essere rappresentata non solo da un prodotto o un servizio, ma anche dalla relazione con il fornitore, i tempi di risposta, l’assistenza e il supporto consulenziale. 

Stabilire una relazione con il target

Infine, stabilire una relazione con il cliente è fondamentale per entrare in contatto con il proprio buyer, fargli notare il pain point e mettere in tavola la propria soluzione. 

La relazione deve essere basata sulla conoscenza reciproca, la disponibilità a fare un’azione verso di sé (o riceverla, accogliendola) e il fatto che il buyer abbia un motivo per acquistare.

 

Approfondire l’impatto, per contrastarlo

Tra le azioni fondamentali che una PMI deve mettere in atto, per far fronte ai cambiamenti di mercato, figurano sicuramente quelli menzionati e quelli che riassumiamo di seguito:

  1. Fornire un servizio clienti eccellente: le PMI possono distinguersi offrendo un servizio clienti personalizzato e di alta qualità. Ciò può includere rispondere rapidamente alle richieste dei clienti, fornire assistenza post-vendita e creare relazioni durature con i clienti.
  2. Offrire prodotti o servizi unici: le PMI possono differenziarsi offrendo prodotti o servizi unici che non sono facilmente sostituibili da altri concorrenti. Ciò può includere prodotti personalizzati o servizi specializzati che soddisfano specifiche esigenze dei clienti.
  3. Utilizzare il marketing digitale: le PMI possono utilizzare il marketing digitale per raggiungere nuovi clienti e differenziarsi dai concorrenti. Ciò può includere la creazione di un sito web professionale, l’utilizzo dei social media per promuovere i prodotti o servizi e l’invio di newsletter informative ai clienti.
  4. Collaborare con altre PMI: le PMI possono collaborare con altre aziende per offrire prodotti o servizi complementari. Ciò può aiutare a differenziarsi dai concorrenti e ad aumentare la visibilità del marchio.

Per approfondire questi argomenti, consigliamo le seguenti pubblicazioni e, in particolare: 

  • Il paragrafo “Nuove sfide in uno scenario in costante evoluzione”, all’interno del documento redatto da Deloitte e Fondazione Politecnico di Milano. Il documento, intitolato “Driving Through Challenging Times” è dedicato al mondo automotive, ma presenta lucide analisi sugli scenari e su problematiche che possono essere considerate trasversali e più mercati e, pertanto, degne di nota e di attenzione. 
  • Il capitolo “​​IMPRESE, PROSUMER E MARKETING”, all’interno della pubblicazione realizzata da IPSOS intitolata “ITALIA 2023 – CATENACCIO ALL’ITALIANA – UN PAESE IN DIFESA, PRONTO AL CONTRATTACCO E ALLA RICERCA DI UN FUTURO”. In questo capitolo si può leggere: “La comunicazione è estremamente cambiata negli ultimi 20 anni ed ancor più negli ultimi 10, con l’arrivo di social e smartphone. Le grandi aziende hanno investito nelle nuove forme di comunicazione, diventando protagoniste dei social e delle nuove tecnologie che utilizzano le potenzialità della connessione mobile e già guardano al Metaverso. Ha quindi senso chiedersi se la rivoluzione tecnologica nel marketing e nella comunicazione abbia ampliato o ridotto la distanza tra Corporation e PMI. E se e come sia cambiato il modo di comunicare delle PMI negli ultimi 20 anni, quando il millennio era agli inizi, l’Euro appena arrivato, e la ferita delle torri gemelle ancora viva.”. Questa l’introduzione al saggio “Come comunicano le Pmi?” (di David Parma e Andrea Alemanno), approfondimento interessante e consigliato a tutti gli imprenditori e agli amministratori di PMI. 

Come adattarsi al nuovo scenario

Come adattarsi al nuovo scenario?

Le PMI si trovano di fronte a molte sfide nel mercato attuale, ma un nuovo approccio può aiutare a superarle. In particolare, è fondamentale concentrarsi sulla cura del proprio approccio alla strategia, al marketing e alla vendita, piuttosto che solo sull’implementazione di nuovi strumenti. Infatti, concentrarsi solo sugli aspetti superficiali può essere pericoloso e impedire alla PMI di crescere ed evolversi.

Quattro passi che le PMI devono compiere per adattarsi

Qui di seguito riportiamo quelli che, a nostro parere, sono i quattro passi che le PMI devono compiere per adattarsi ai nuovi scenari e ai cambiamenti del mercato. Per ognuno di questi tre punti forniamo un breve approfondimento e una descrizione dei benefici che questo tipo di attività possono portare alle aziende. 

Stop alla procrastinazione

Chiediti perché continui a procrastinare la tua evoluzione Tutte le aziende vogliono crescere (si presume), ma non tutte sono disposte a evolversi e mettersi in gioco. E anche quando vogliono farlo, non sempre ci riescono.

Ci sono 2 fattori che possono far rimandare continuamente l’evoluzione:

  1. si tende ad avere un approccio attivo verso il progresso solo quando si sente l’urgenza di farlo (risolvere un problema imminente)
  2. l’attenzione dell’azienda è concentrata solo sull’implementazione di nuovi strumenti (questo punto è la diretta conseguenza del precedente) 

Mantieni il focus su strategia, marketing, vendita

Il miglior modo per evolversi e crescere è invece non perdere di vista la cura del proprio approccio alla strategia, al marketing e alla vendita. Concentrarsi solo sugli aspetti più superficiali (l’implementazione di strumenti) può essere pericoloso. 

Concentrarsi sul percorso d’acquisto

Il percorso d’acquisto del cliente può essere rappresentato dal funnel (ne avrai già sentito parlare 1.000 volte). Le tappe più importanti del percorso d’acquisto sono 7:

  1. Awareness – Consapevolezza: consapevolezza che può essere vista sotto 2 punti di vista:
  • il cliente è consapevole di avere una determinata necessità
  • il cliente è consapevole che la tua azienda esiste (la conosce)
  1. Interest – Interesse: interesse per il suo problema da risolvere o interesse in eventuali soluzioni (prodotti, servizi o marchi).
  2. Consideration – Considerazione: considerazione delle possibili soluzioni e valutazione delle alternative
  3. Demo – Prova: tappa non obbligatoria. Si tratta di una prova gratuita di un determinato prodotto o servizio. Può essere strategico valutare l’inserimento di una demo nella propria offerta.
  4. Purchase – Acquisto: la vendita. Il lead diventa cliente a tutti gli effetti. Ma attenzione: l’obiettivo non deve mai essere vendere “one shot”, una sola volta.
  5. Repetition – Ripetizione: la ripetizione dell’acquisto. Il cliente è sulla via della fidelizzazione.
  6. Advocacy – Evangelizzazione: il cliente fidelizzato si fa carico della promozione del brand. Ne parla con colleghi, superiori, amici, familiari. Il passaparola è il canale marketing più potente al mondo, da sempre. 

Le Sette Domande per impostare la strategia

Per aiutare le aziende e le PMI a impostare una strategia vincente abbiamo creato un percorso, composto da 7 domande. Rispondendo a queste domande gli imprenditori possono accedere alle informazioni e al know-how necessari per strutturare la propria strategia vincente.

 

  1. Come offrire al cliente le soluzioni che gli servono davvero? E come comunicarglielo?
    È il ruolo del marketing operativo: definire a chi vendere, cosa vendere, a che prezzo, che valore offrire, cosa comunicare, come differenziare il brand, come posizionarsi, su che canali promuoversi…
  2. Come trasformare l’interesse in acquisto? È il ruolo del reparto sales.
    Il commerciale entra in gioco quando il cliente ha già percorso le prime tappe del percorso d’acquisto (guidato nel funnel dal marketing operativo). I reparti marketing e sales devono quindi lavorare in sinergia se vogliono massimizzare le performance (mandare agenti in appuntamenti “a freddo” non è il massimo).
  3. Come fidelizzi il cliente dopo la vendita?
    Molte aziende sono più concentrate nel trovare nuovi clienti che nel coltivare e “coccolare” quelli che già hanno. Concentrarsi sulla fidelizzazione del cliente è fondamentale, sia per aumentare il suo lifetime value, o LTV, (il valore che il cliente porta all’azienda durante la sua “vita da cliente”), sia per sfruttare la buona pubblicità che questo può fare (il passaparola della fase “advocacy” del funnel).
  4. Perché il cliente dovrebbe sceglierti?
    È la domanda da 1 milione di dollari, la chiave per fare business. E si lega ad altre domande:

    1. Come ti vede il cliente rispetto alla concorrenza?
    2. Come sei posizionato nella sua mente?
    3. Che storia racconta il tuo brand? Che significati? Che valori? 

Tutto questo si lega al tuo posizionamento di mercato, o posizionamento competitivo. Definendolo in modo chiaro potrai davvero trasformare i tuoi clienti target in clienti fidelizzati, diventando insostituibile e aumentando il tuo valore in modo esponenziale.

  1. La tua strategia è in linea con il tuo posizionamento competitivo?
    Avere una strategia significa sapere quali obiettivi vuoi raggiungere e come vuoi farlo. Questo deve essere in armonia con il tuo posizionamento. Dato che questa è la risposta alla domanda “perché i clienti dovrebbero scegliermi?”, sviluppare una strategia coerente con questa risposta ti permetterà di sfruttare proprio la spinta del tuo pubblico per crescere.
  2. Su cosa basi le tue decisioni? Opinioni o analisi concrete?
    Abbiamo parlato nel capitolo 2 dell’importanza del basarsi su dati e analisi piuttosto che su sensazioni ed esperienza. È particolarmente importante ricordarsi di questo nel momento in cui andiamo a definire:

    1. il tuo cliente target
    2. i tuoi competitor
  3. Come gestisci marketing e vendite nel concreto?
    Gestire in modo equilibrato ed efficace i reparti marketing e sales è cruciale per il successo di un’azienda. Spesso manca un processo commerciale-marketing integrato, con reparti che collaborano in modo coordinato, o una persona che si occupa veramente di marketing (non il commercialista, tecnico informatico o il cugino adibito a marketing manager).

approfondimenti e fonti

Approfondimenti e fonti

Come anticipato ad inizio articolo, di seguito le due fonti principali di questo testo e, in particolare, la guida Naxa: 

ebook strategia PMI light (1).pdf

 

Guida che, come abbiamo detto, è ispirata nella struttura e nei contenuti (così come questo articolo) a questa guida di Strategia PMI.

 

Scegli i professionisti del marketing

Le PMI possono superare le sfide del mercato attuale adottando un nuovo approccio centrato sulla cura della strategia del marketing e della vendita, basandosi sui dati e sulle analisi concrete, gestendo in modo equilibrato i reparti marketing e sales e definendo azioni concrete per rispondere alle domande. 

A volte, però, c’è bisogno di qualcuno che le aiuti a compiere il primo passo… per questo, ci siamo noi con il nostro team di esperti e di professionisti

Se hai domande, o se sei deciso a cambiare l’approccio della tua PMI al nuovo assetto dei mercati, contattaci. Saremo lieti di accompagnarti verso il futuro della tua azienda

Facebook o Instagram? Su quali canali dovresti essere presente con il tuo brand e perché

La scelta delle piattaforme social da presidiare è la condizione preliminare per eccellenza per tutte le imprese che decidono di investire nel social media marketing – e non si tratta quasi mai di una decisione semplice!

Le possibilità di comunicazione digitale sono oggi numerosissime, e i canali che possono trasformarsi nel megafono di un’impresa davvero molti, ma è altrettanto vero che non sono tutti uguali. Se, da un lato, l’importanza di una social media strategy per il business è ormai assodata, dall’altro è opportuno che tale strategia sia definita con attenzione già in fase preliminare, ossia a partire dai profili da costruire e dalle piattaforme da presidiare, perché possa davvero funzionare.

Per quanto riguarda le piattaforme, le organizzazioni possono oggi scegliere da un carnet davvero ampio: Facebook, Instagram, LinkedIn, Twitter, TikTok, YouTube e molti altri. Ciascuno di questi strumenti ha un obiettivo comune – permettere agli utenti di condividere contenuti con il loro pubblico – ma anche le proprie feature, il proprio target di riferimento e il proprio paradigma comunicativo. Per esempio, alcune piattaforme prevedono la possibilità di pubblicare testi più lunghi (Facebook o LinkedIn), altre sono invece piattaforme di microblogging (Twitter); alcune si focalizzano sulla qualità delle immagini (Pinterest, Instagram), altre ancora sono perfette per chi vuole condividere video brevi o lunghi (TikTok, YouTube) e via discorrendo.

L’individuazione del corretto canale social consiste nella comprensione di quale di essi potrà veicolare al meglio i messaggi che l’azienda desidera comunicare, riuscendo al contempo a intercettare un segmento di utenza interessante.

L’analisi e definizione di quest’ultima sono, di riflesso, assolutamente cruciali nella fase preliminare di scelta della piattaforma: chi sono i destinatari dei tuoi servizi o prodotti? Quali sono le loro caratteristiche demografiche e di comportamento? Dove si trovano? Sono state realizzate le schede dei buyer persona, ossia gli “identikit” che rispecchiano la perfetta simulazione dei tuoi lead/clienti ideali?

Allo stesso tempo, per scegliere la piattaforma social più indicata è importante sapere a priori cosa si vuole comunicare e come. Vediamo quindi quali sono i principali obiettivi che le aziende si pongono con la loro presenza sui social media.

 

 

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Gli obiettivi delle aziende sui social media

Gli obiettivi di un’azienda che sceglie di presidiare una o più piattaforme social possono essere molteplici, e dovrebbero – esattamente come la scelta dei canali – essere sempre il risultato una precisa analisi preliminare. Per intenderci, fare social media marketing perché tutti gli altri lo fanno non è una strategia, ma un errore! Al contrario, l’immediata messa a fuoco sui “goal” permetterà di strutturare una comunicazione mirata e di moltiplicare il potenziale di risultato.

Tra gli obiettivi più comuni delle organizzazioni presenti sui social media figurano:

  • L’incremento della reputazione della marca, ossia la cosiddetta Brand Reputation.
  • L’aumento della consapevolezza della marca da parte del target di riferimento e la fidelizzazione, ossia la Brand Awareness e Brand Loyalty.
  • L’aumento della consapevolezza di uno o più prodotti, ovvero la Product Awareness.
  • La lead generation.
  • L’incremento delle interazioni con i lead, ossia l’engagement.
  • La generazione di traffico verso un sito web o uno shop online.
  • Il lancio o la promozione di nuovi prodotti o servizi.
  • La vendita di prodotti o servizi.
  • L’assistenza al cliente.

Come senza dubbio avrai intuito, una volta inquadrati quali tra questi obiettivi fanno parte della strategia digitale della tua impresa, sarà molto più facile valutare se le caratteristiche della piattaforma social da presidiare ben si sposano con essi.

Entriamo ora più nello specifico di due dei canali social più conosciuti e utilizzati dalle aziende – Facebook e Instagram – per evidenziarne le feature, le peculiarità e gli obiettivi strategici che possono soddisfare.

Si tratta di due piattaforme tra le più utilizzate in Italia (rispettivamente con percentuali dell’80,4% e del 67% secondo il dossier “Global Digital Report 2021”) e che rimangono, ancora oggi e nonostante la disponibilità di tanti altri social media, tra le assolute favorite delle organizzazioni di qualunque dimensione e settore.

 

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facebook il gigante dei social per aziende

 

Facebook: il “gigante” dei social per aziende grazie ai molteplici strumenti di marketing

C’è chi dice che Facebook sia un social media ormai “spompato”, ma in realtà è tutt’altro che così. Il gigante lanciato da Mark Zuckerberg nel 2004 continua ancora oggi a dominare tutti gli altri, quantomeno per l’ampia disponibilità di strumenti di marketing che mette a disposizione dei suoi utenti.

Moltissime aziende scelgono di presidiarlo per una serie di ragioni: la massiccia quantità di utenti (si stima che siano, mensilmente, due miliardi e settecento milioni), l’ampiezza di formati e contenuti che è possibile condividere (testi, foto, video, link, stories, reel) e i già citati strumenti di marketing, che consentono azioni mirate di social media advertising. Dal punto di vista della fotografia degli utilizzatori tipo, è un social media che ospita prevalentemente una fascia demografica dai 25 ai 34 anni ma che resta molto utilizzato anche dagli utenti over-35.

Se, da un lato, il principale limite di Facebook è quello di essere una piattaforma in tutto e per tutto generalista, con un target orizzontale e molto variegato (al contrario ad esempio di LinkedIn, nato per, destinato a, e frequentato dai professionisti), dall’altro essa rimane la più conosciuta al mondo e continua a offrire un potenziale di visibilità molto elevato.

A quali aziende è suggerito il presidio di Facebook? Gli obiettivi che tale piattaforma permette di raggiungere sono molteplici:

  • Miglioramento della Brand Awareness e Loyalty.
  • Customer Care puntuale e preciso.
  • Raccolta di lead profilati, con preziose informazioni sugli utenti disponibili negli Insight.
  • Monitoraggio della concorrenza.
  • Comunicazioni one-to-one con lead e clienti grazie a Messenger.
  • Aumento dell’engagement e delle possibilità di conversione, specialmente se il target da colpire è Consumer.
  • Aumento della reputazione della marca.
  • Lancio efficace di startup, nuovi prodotti e nuovi servizi.
  • Creazione di community affiatate.
  • Creazione di report precisi e dettagliati.
  • Social Media Marketing, grazie alla disponibilità di Facebook Ads.

In definitiva, Facebook è una piattaforma che virtualmente qualunque azienda può presidiare con successo studiando una strategia di comunicazione ad hoc.

Pur essendo adatta anche per imprese B2B e B2B4C (con alcune limitazioni), rimane ideale in particolare per le organizzazioni che offrono servizi e prodotti al cliente finale (B2C).

 

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Instagram: tutto il potere delle immagini

Come è ormai noto, Instagram è di proprietà di Meta – la stessa azienda che possiede anche Facebook. Questi due social media fanno quindi parte della medesima, grande famiglia (che include, peraltro, anche WhatsApp e Messenger). Tuttavia, rispetto al “fratello” maggiore, Instagram continua ancora oggi a mantenere la propria unicità, e non ci riferiamo esclusivamente al fatto che non preveda link cliccabili nei post!

Al cuore di Instagram c’è l’impatto visivo dei contenuti che vengono condivisi, siano essi immagini o video. Il suo obiettivo, prima ancora di parlare, è quindi quello di mostrare poiché i post, i reel, le stories e igTV si basano proprio su questo tipo di formati.

Ecco quindi che la tua azienda dovrebbe scegliere di presidiare Instagram se dispone di una buona quantità di materiali fotografici e video di alta qualità, o se il suo punto di forza è proprio il design. Ricorda inoltre che, se in passato l’utenza di questa piattaforma era mediamente molto giovane, gli iscritti attuali (oltre 1,2 miliardi) hanno raggiunto un’età media più alta. Dal punto di vista del range, Instagram ospita oggi utenti tra i tredici anni e gli over-65.

Oltre a quanto elencato finora, ti suggeriamo di strutturare la tua strategia di social media marketing su Instagram se:

  • Ritieni che le tue immagini e i tuoi video abbiano un enorme potere comunicativo.
  • Desideri comunicare in modo rapido e immediato, prevalentemente utilizzando strumenti visivi.
  • Vuoi dialogare direttamente con i tuoi utenti (potrai utilizzare le Stories e i messaggi privati).
  • Hai esigenza di migliorare la tua Brand Reputation.
  • Vuoi avere accesso a blogger e influencer con cui creare potenziali partnership al fine di intercettare un segmento di target più ampio.
  • Vuoi investire in pubblicità (Meta permette la gestione simultanea delle pagine Facebook e Instagram dalla medesima piattaforma di business management).
  • Desideri monitorare il gradimento degli utenti nei confronti dei tuoi prodotti.
  • Vuoi incrementare l’engagement con il tuo pubblico.
  • Vuoi suscitare una reazione emozionale alla tua proposta commerciale.
  • Vuoi vendere a un’utenza B2C.

Proprio in virtù dell’impatto visivo di questa piattaforma, Instagram si dimostra da sempre vincente per le aziende che operano in particolari settori che puntano moltissimo al look, come il Fashion, i gioielli, i cosmetici, i viaggi, il lusso, l’interior design e via discorrendo.

Va da sé che potrai anche scegliere di presidiare sia Instagram che Facebook se i tuoi obiettivi di business sono convergenti rispetto alle feature delle due piattaforme: un social non esclude l’altro! Dovrai però farlo creando una strategia di content coordinata che permetta di sfruttare l’unicità e i punti di forza di questi canali, simili ma allo stesso tempo diversi.

Si tratta del cosiddetto calendario editoriale.

 

 

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calendario editoriale perchè creare il giusto content mix

 

Calendario editoriale: perché creare il giusto content mix e organizzare i contenuti è fondamentale

Il calendario editoriale è il piano di contenuti che ti proponi di pubblicare sui tuoi canali social: si tratta quindi di un documento che definisce, illustra e programma la tua agenda di posting ed è assolutamente vitale per il successo della tua strategia di social media marketing!

Organizzare i contenuti che desideri condividere sulle tue piattaforme è importante tanto quanto individuare il social media più adeguato alla tua attività, perché ti permetterà di:

  • Pianificare anticipatamente le tue uscite nel rispetto delle tue esigenze di business.
  • Definire la tua strategia di storytelling.
  • Pubblicare con costanza invece che “navigare a vista”.
  • Formulare a priori il corretto content mix, ossia la sinergia tra diverse tematiche da condividere con i tuoi utenti, in modo da creare un profilo interessante, ingaggiante e non ripetitivo.
  • Coordinare le tue attività sui diversi canali di marketing della tua azienda.
  • Rispondere in modo più flessibile ed efficace ad eventuali imprevisti.
  • Identificare e definire il percorso di storytelling che i tuoi utenti dovranno seguire.
  • Scegliere argomenti, contenuti multimediali e tono di voce adeguati a un determinato target o a una specifica piattaforma.
  • Sapere in anticipo quando lancerai un determinato prodotto o comunicherai particolari informazioni.
  • Tenere traccia delle tue pubblicazioni nel tempo.
  • Analizzare i progressi fatti.
  • Risparmiare tempo e risorse!

Ricorda che disporre di un corretto content mix, ben pianificato e studiato in anticipo, può essere una condizione cruciale per il successo della tua attività sui social media così come per la credibilità di brand che desideri costruire. Gli utenti digitali attuali sono infatti estremamente percettivi e comprendono facilmente se un’azienda presente sui social sta comunicando in modo attento, pianificato e calibrato o se, al contrario, presidia i suoi profili in modo casuale e inefficace.

In allegato a questo articolo, ti offriamo quindi la possibilità di scaricare gratuitamente i template per i tuoi calendari editoriali Facebook e Instagram: abbiamo realizzato per te un comodo documento in cui potrai raccogliere tutti i contenuti che intendi pubblicare sui tuoi canali social, secondo la frequenza più adatta al tuo business (ricorda che è meglio pubblicare meno contenuti di maggiore qualità, piuttosto che contenuti quotidiani di scarsa qualità!), e organizzare al meglio il tuo lavoro.

Infine, non dimenticare che qualunque strategia di social media management e social media advertising funziona al massimo del suo potenziale quando è strutturata e gestita con il supporto di marketer specializzati: il team Naxa è pronto a offrirti tutta la sua consulenza!

 

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Automazione dei processi aziendali in fiera

Chiunque lavori in un’azienda che partecipa alle fiere nazionali e internazionali, pensando alla parola “fiera” sarà pervaso da un brivido di terrore misto a sconforto. Perché? Perché le fiere sono eventi che richiedono moltissime risorse, ma non sempre promettono di restituire un risultato soddisfacente.

Mettere in piedi un fiera è uno sforzo incredibile, non solo dal punto di vista logistico e progettuale, ma anche dal punto di vista del coordinamento delle persone che vi prenderanno parte, e dal punto di vista della comunicazione, che va preparata e utilizzata in modo (si spera) efficace.

Oltre a questo, però, c’è qualcosa che accomuna tutte le fiere, non solo nello spazio (in Italia o all’estero), ma anche nel tempo (quelle del passato, quelle del presente e probabilmente quelle del futuro): non sono mai cambiate. Le fiere sono, da sempre, sostanzialmente la stessa, identica cosa.

Oltre a descrivere la stessa fatica nell’organizzare le fiere, infatti, migliaia di aziende descrivevano anche lo stesso output, sempre: spese ingenti, migliaia di nominativi raccolti dei quali, però, solo una piccola parte viene lavorata, mentre il resto è perduto per sempre…inutilizzato, nonostante l’immane fatica fatta per raccogliere ognuno di quei contatti.

Proprio da questo è nata l’esigenza di cambiare radicalmente il modo di fare le fiere e, qui in Naxa, il nostro team ha sviluppato un prodotto che si propone di aiutare le aziende a “digitalizzare” le fiere, per andare ad ottimizzare proprio quei processi di raccolta di lead e di conversione degli utenti.

La lead generation in fiera

Grafica della Lead Generation

Durante le fiere, il processo di acquisizione segue un pattern di questo tipo:

  1. Si incontrano tantissime persone.
  2. Si parla con tante persone.
  3. Si fissa un appuntamento con alcune persone.
  4. Si convertono in clienti poche…pochissime persone!

E, molto spesso, non si ha una strategia per intervenire su tutte quelle persone che, lungo questo funnel, si sono “perse per strada”.

Proprio su questi contatti “incrociati” e mai convertiti Naxa lavora, con un sistema che accompagna prima, durante e dopo l’evento, grazie ad una strategia multi-canale che integra strumenti di sales / marketing tradizionali e digitali.

 

 

 

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Automazione in fiera: alla conquista dei dati

Le fiere sono cambiate, digitalizzandosi in modo da rispondere alle esigenze di un mondo ormai iper-connesso. Ignorare questo fatto significa non comprendere in che direzione sta andando il mercato e, soprattutto, significa decidere di non sfruttare le tante opportunità che il digital può offrire, anche in situazioni “ibride”, ovvero caratterizzate da un incontro tra digitalizzazione e attività prettamente analogiche, quali le fiere di settore sono sempre state, perché fatte di incontri, strette di mano, scambi di idee e contrattazioni su prodotti ed offerte economiche…

Le aziende che partecipano oggi agli eventi di settore possono beneficiare di innovazioni tecnologiche importanti, studiate per rendere il flusso di visitatori più rapido. Un esempio è rappresentato dall’impiego dei QR Code che registrano l’ingresso ai vari stand grazie a lettori dedicati. Il tutto, a beneficio del monitoraggio delle diverse attività e di un’immensa mole di dati raccolti, relativi ai visitatori e agli espositori.

Tuttavia, i dati così generati, raccolti, scambiati… rimangono di proprietà dell’organizzatore delle kermesse, e non delle imprese! Però, proprio per queste ultime è importantissimo, anzi fondamentale, raccogliere informazioni utili su lead, visitatori, clienti, così da poterle utilizzare anche successivamente.

Vantaggi dell’automazione dei processi, nelle fiere

Grafica che rappresenta un gruppo di persone

Tra le ragioni per le quali un’azienda dovrebbe automatizzare i processi aziendali in fiera, vale la pena soffermarsi sui seguenti:

  1. Aumento del numero di lead generati: migliore è la gestione dei processi e dei dati, migliore è l’esperienza offerta all’utente e, quindi, più alta è la probabilità di ottenere lead (e, poi, che questi si convertano in contatti interessati e, magari, in clienti).
  2. Ampliamento del proprio database: sistematizzando e automatizzando i processi non si corre più il rischio di “perdersi” i contatti delle persone incontrate in fiera. In questo modo si arricchisce il database aziendale con nuovi lead e con preziose informazioni che li riguardano. Questo aiuta a coltivare rapporti commerciali (nel rispetto dei nuovi scenari di privacy che si sono delineati a partire dal GDPR).
  3. Ottimizzazione delle comunicazioni sales & marketing: grazie a tutta una serie di possibilità offerte dalle tecnologie esistenti (email automatizzate, reminder commerciali, comunicazioni personalizzate e fortemente mirate, perché basate sui dati raccolti in precedenza).

 

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Una fiera ottimizzata: prima, durante e dopo!

Al fine di ottimizzare i processi di lead generation e lavorazione dei contatti raccolti, abbiamo sviluppato un processo in tre fasi, che copre tutti e tre i momenti nei quali si sviluppa una fiera: il prima, il durante e il dopo. In ognuno di questi tre momenti si possono compiere specifiche azioni, finalizzate alla ottimizzazione della propria presenza in fiera, con un conseguente miglioramento dei risultati che l’evento può portare all’azienda.

Questi tre momenti sono tutti costruiti tenendo in mente la cosa più importante: il lead. È proprio questo l’aspetto che fa da collante tra i tre momenti e costituisce il fulcro attorno al quale ruotano tutte le attività da svolgersi.

Qui di seguito offriamo una schematizzazione dei tre momenti, fornendo per ognuno le attività che suggeriamo di svolgere per ottenere il massimo da ogni momento della fiera.

Prima della fiera: arrivare con lo spirito giusto

In questa fase bisogna cercare di preparare il mood dei miei lead. Come? Grazie alla diffusione, sui propri canali, di messaggi che indichino la presenza dell’azienda in fiera, che segnalino lo stand, i prodotti che saranno presentati, le modalità per fissare un appuntamento.

Per quanto concerne contatti presi direttamente con i lead, è bene schedulare appuntamenti chiari e organizzati, predisponendo le agende dei sales in modo che possano dedicare ad ogni lead tutto il tempo che serve. Per capire quanto tempo dedicare ad un lead è molto utile studiarli tutti, conoscerli, e capire chi di loro è più promettente. In questo modo i sales potranno impegnare il loro tempo in modo più consapevole (e, anche, più proficuo).

Durante la fiera: accrescere il proprio sapere

Il lavoro degli agenti è stato ottimizzato nella prima fase, ora hanno a disposizione strumenti che migliorano tantissimo le loro opportunità. Tuttavia, il momento della fiera può essere utile per arricchire il proprio database, raccogliendo ulteriori informazioni sui lead e collezionando dati che potranno tornare utili in futuro.

Raccogliere informazioni sui lead, come i loro pain point, le preferenze e le necessità, apre la strada a una serie di iniziative che inizieranno dopo la fiera.

Dopo la fiera: è il momento di rimanere in contatto (nurturing)

L’interazione personalizzata durante l’evento dovrebbe essere sempre seguita da interazioni e azioni di nurturing personalizzate anche dopo l’evento.

Tutti i lead, i clienti e i prospect i cui dati sono stati raccolti e digitalizzati allo stand possono ora essere coinvolti con contenuti e azioni dedicate.

Qui entra in gioco l’Automation, di cui facciamo qualche esempio:

  1. E-mail di ringraziamento.
  2. Qualche giorno dopo: newsletter verticalizzata su particolari segmenti di utenti, che include anche un invito all’azione (in questo modo, si mantiene viva l’attenzione dei contatti raccolti durante l’evento, creando un rapporto di fiducia nel tempo). Ad esempio, si potrebbero inviare:
    1. una mail di follow-up che ringrazia i partecipanti per il loro interesse e che li invita a scaricare una brochure o a visitare il sito web per ulteriori informazioni.
    2. In seguito, una newsletter che approfondisce ulteriormente il tema trattato durante l’evento e che offre contenuti rilevanti per il business dell’utente.
  3. L’automazione dei processi è utile anche per gestire i lead che non hanno ancora compiuto l’azione desiderata, per esempio, quelli che non hanno scaricato la brochure. In questo caso, si può inviare un’altra mail che li invita a compiere l’azione che hanno precedentemente ignorato o a partecipare ad un’altra iniziativa.

Attenzione: il catalogo non è un regalo!

Mano che porge un regalo

Ci sembra doveroso inserire questo paragrafo, perché si potrebbe ritenere ragionevole, a seguito di una fiera, l’invio del proprio catalogo aziendale ai vari lead. Ora, il catalogo è sicuramente qualcosa di utile e, magari, anche di gradito…ma non è quel “qualcosa” che fa scattare un sincero interesse nel lead, portandolo un po’ più vicino alla fatidica “conversion”.

Il nostro consiglio è quello di inviare qualcosa di realmente utile. Un info-prodotto, un tool, uno strumento digitale capace di risolvere realmente un problema del nostro lead. Qualcosa che sia utile e che fissi, nella mente del lead, a livello razionale e irrazionale, il fatto che il nostro brand lo ha aiutato concretamente, con qualcosa di più di un “semplice” elenco dei prodotti e dei servizi. Immaginate di inviare ai lead un gadget. Ma un gadget digitale (tracciabile, utile a raccogliere dati anche per voi) e, soprattutto, utile!

Immaginate di inviare un gadget che avreste piacere di ricevere voi per primi. Non qualcosa che finirà in un cassetto, dimenticato, ma qualcosa che cambierà, anche poco, la routine del vostro lead, ricordandogli costantemente che siete stati voi a risolvere quel problema. Questo è nurturing. Questo è sapersi giocare un gadget in modo interessante. Questo è uso del digital in modo intelligente.

Automatizziamo la prossima fiera?

L’automazione dei processi aziendali in fiera è un approccio vincente per massimizzare le performance, sviluppare relazioni con i prospect, arricchire il database e raccogliere dati preziosi.

Grazie alla digitalizzazione delle fiere, è possibile acquisire e lavorare sui dati in modo più efficiente, generando un maggior numero di lead e ampliando il proprio database aziendale.

Naxa ha sviluppato un sistema che accompagna prima, durante e dopo l’evento, grazie ad una strategia multi-canale che integra strumenti di sales / marketing tradizionali e digitali.

Se vuoi saperne di più sull’automazione della lead generation in fiera e scoprire come può aiutare la tua azienda, contattaci.

 

 

 

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Come ottimizzare il tuo sito web in chiave SEO

SEO: che cos’è e come funziona?

Parlare di SEO potrebbe forse sembrare qualcosa di ovvio a molti. Eppure, ci sono persone – e di conseguenza aziende – che, pur conoscendo la Search Engine Optimization (SEO è appunto il suo acronimo), per diverse ragioni non hanno mai approfondito l’argomento.

Oggi più che mai,  moltissime attività di marketing e di vendita passano dai motori di ricerca: parlare di SEO ha quindi ancora senso, così come istruire le aziende e i professionisti sulle modalità di ottimizzazione di un sito per i motori di ricerca, sulle migliori tecniche SEO e sulle attività pratiche da compiersi per rendere il proprio sito (o il proprio blog, la propria landing page) a prova di SEO.

Prima, però, una definizione. Se già sai di che cosa stiamo parlando… salta al paragrafo successivo.

Definiamo la Search Engine Optimization (SEO)

Mani che tengono uno schermo virtuale

La SEO, acronimo di Search Engine Optimization, è un processo complesso e continuo che consiste nell’attuazione di una serie di tecniche finalizzate a migliorare il posizionamento di un sito web all’interno dei risultati organici dei motori di ricerca, come Google, Bing, Yahoo! Search e altri.

La SEO è fondamentale per aumentare la visibilità di un sito web sui motori di ricerca e, di conseguenza, attrarre un maggior numero di utenti.

Come funziona la SEO?

In parole semplici, i motori di ricerca utilizzano algoritmi per indicizzare i siti web e mostrare i risultati più pertinenti e rilevanti per una determinata ricerca.

La SEO, quindi, si occupa di ottimizzare il sito web affinché sia rilevante per alcune parole chiave, ovvero quei termini che gli utenti digitano nei motori di ricerca per trovare informazioni.

Tuttavia, la SEO non è un’attività semplice, poiché richiede una conoscenza approfondita delle dinamiche dei motori di ricerca, dei comportamenti degli utenti e dei fattori che influenzano il posizionamento organico di un sito web.

Inoltre, la SEO non è un processo statico, ma dinamico e continuo, poiché i motori di ricerca aggiornano costantemente gli algoritmi che utilizzano per indicizzare i siti web, e i competitor cercano continuamente di migliorare il loro posizionamento.

Pertanto, per ottenere un buon posizionamento sui motori di ricerca, è necessario attuare una strategia SEO efficace, che preveda, tra l’altro:

  • L’analisi del sito web (per individuare eventuali errori, criticità tecniche, opportunità di miglioramento tecniche e/o contenutistiche)
  • La scelta delle parole chiave corrette (ovvero le query che meglio descrivono il proprio prodotto/servizio, ma anche quelle più utilizzate dagli utenti per cercare ciò che offriamo).
  • L’ottimizzazione dei contenuti (non solo i testi, ma anche immagini e video; non solo i testi che “si vedono” su un sito, ma anche quelli che non si vedono, ma sono recepiti dai motori di ricerca, come Page Title, Meta Description, ecc.)
  • La gestione dei link (in entrata, in uscita, e interni al sito).
  • Il monitoraggio delle performance (per capire se la nostra attività SEO sta funzionando e se la nostra strategia di posizionamento organico è corretta).
  • L’aggiornamento costante del sito web (eseguito anche alla luce del precedente punto, il monitoraggio, e quindi “data-driven”, quando più possibile).

Quali sono le migliori tecniche SEO?

Prima di esaminare più in dettaglio le azioni concrete che è possibile svolgere su un sito web  per ottimizzarlo dal punto di vista SEO, parliamo di strategie possibili e, in particolare, analizziamo i due approcci più noti. La premessa da fare è che queste tecniche non si escludono a vicenda ma, al contrario, possono operare in sinergia per un posizionamento organico ottimale.

Grafica della SEO on-pageGrafica della SEO off-page

Vediamo in breve di che cosa si tratta. Passeremo poi a un elenco dettagliato della attività pratiche che si possono svolgere sul proprio sito per migliorarne l’indicizzazione sui principali motori di ricerca.

On-Page SEO

Con il termine On-Page SEO si intende tutto l’insieme di strategie di ottimizzazione messe in pratica all’interno delle pagine del sito da posizionare nella SERP (SERP: Search Engine Results Page, ovvero, la pagina restituita dal motore di ricerca quando viene inserita una chiave di ricerca al suo interno).

Di questa macro-categoria, ad esempio, fanno parte l’attività di ottimizzazione SEO del codice HTML e l’ottimizzazione dei contenuti del sito web.

Ottimizzazione del codice HTLM

Grazie all’applicazione di tecniche di sviluppo web specifiche, è possibile ottimizzare il codice HTML di un sito web per renderlo più leggibile e comprensibile per i motori di ricerca, migliorando così il posizionamento organico del sito.

Una delle prime cose da fare è utilizzare tag HTML appropriati e corretti, in modo da garantire un’organizzazione efficiente e semantica dei contenuti del sito. Ad esempio, il tag Title è un elemento chiave per l’ottimizzazione SEO del codice HTML, poiché consente di specificare il titolo di una pagina web ai motori di ricerca.

Un altro elemento importante per la SEO del codice HTML è la definizione di titoli e descrizioni delle pagine, che devono essere chiari e coerenti con il contenuto della pagina stessa. Inoltre, è importante aggiungere attributi Alt alle immagini del sito, in modo da descrivere il contenuto dell’immagine ai motori di ricerca e aiutare gli utenti con problemi di accessibilità.

Anche la gestione dei link interni ed esterni è un aspetto fondamentale dell’ottimizzazione SEO del codice HTML. I link interni devono essere utilizzati in modo coerente e logico, mentre i link esterni devono essere selezionati con attenzione e provenire da siti autorevoli e affidabili.

Altro elemento importante per l’ottimizzazione SEO del codice HTML è la velocità di caricamento delle pagine web. Un sito web veloce e reattivo è considerato più utile e pertinente dai motori di ricerca, e offre una migliore esperienza di navigazione agli utenti.

Ottimizzazione dei contenuti

Un altro aspetto decisivo per il buon posizionamento di un sito web è l’ottimizzazione dei contenuti. In linea generale, questi dovrebbero essere:

  • Unici e originali, cioè non copiati da altre parti.
  • Utili e interessanti.
  • Aggiornati e al passo con i tempi.
  • Contenenti le corrette parole chiave (da integrarsi nel testo in modo naturale e non “over-optimised”: non dovranno quindi essere eccessive nel numero né inserite in modo inappropriato, nella speranza di “ingannare” i motori di ricerca… o, peggio, gli utenti).

Più avanti, nel corso dell’articolo, vedremo in dettaglio quali azioni sono consigliate per ottimizzare i contenuti e il codice del proprio sito, così da renderlo a prova di SEO.

Off-Page SEO

Al buon posizionamento di un sito contribuiscono anche strategie e pratiche esterne a esso: ci riferiamo, nello specifico, alla gestione dei link in entrata.

Google ritiene che le pagine web più linkate siano le più meritevoli e importanti. Questa convinzione, però, non si limita a un mero aspetto numerico: il motore di ricerca, infatti, prende in considerazione anche l’autorevolezza delle pagine di provenienza dei link. C’è di più: Google considera anche la spontaneità dei link.

Proprio da quest’ultimo aspetto nasce la distinzione tra link building e link earning: il primo concetto fa riferimento all’insieme di pratiche finalizzate a ottenere link anche in maniera non spontanea, come ad esempio il guest blogging e tecniche ancor più artificiose (e ormai sistematicamente penalizzate dal motore di ricerca) quali lo scambio di link e lo spam. Il secondo termine, invece, fa riferimento ad un processo organico, che fa sì che utenti del web, in modo del tutto spontaneo, inseriscano nei loro contenuti link a pagine autorevoli proprio perché le reputano utili per i propri lettori.

Ottenere link alla propria pagina web in maniera naturale e, quindi, conforme alle regole di Google non è facile: il consiglio è produrre contenuti di qualità, che vengano apprezzati dagli utenti e, di conseguenza, linkati.

Come ottimizzare un sito in chiave SEO?

Grafica che rappresenta la keyword research

Ora vediamo, dal punto di vista pratico, quali attività sono consigliate per migliorare il posizionamento organico del proprio sito nelle SERP dei motori di ricerca. Approfondiamo i concetti e le tecniche che reputiamo più importanti, lasciando al lettore il compito di informarsi (e di formarsi) autonomamente: come già precedentemente indicato, la SEO è materia complessa e in costante aggiornamento, che richiede anni per essere padroneggiata e professionisti veri per essere messa in atto.

Analisi SEO

L’analisi del sito web è il primo passo per comprendere la situazione attuale e individuare le aree di miglioramento.

In particolare, è importante verificare:

  • la struttura del sito (ossia se i contenuti sono presentati in maniera logica agli utenti e ai motori di ricerca)
  • la velocità di caricamento (più veloce è un sito, meglio è per gli utenti e per il motore)
  • il design (che non è soltanto l’aspetto, ma anche l’usabilità)
  • la navigazione e l’usabilità (un sito deve essere gradevole, ma anche comprensibile e facile da utilizzare, rispettando criteri di ergonomia e di User Experience e User Interface Design)

Scelta delle parole chiave

La scelta delle parole chiave è un altro aspetto fondamentale della SEO. Bisogna selezionare le parole chiave più rilevanti per il proprio sito web e per il proprio business, e utilizzarle in modo strategico nei titoli, nei tag, nei contenuti e nella struttura del sito.

Le keyword sono la chiave!

Le parole chiave sono effettivamente il motore che alimenta il tuo sito web. Senza uno studio sulle parole chiave e una relativa ricerca e comparazione, non è possibile attuare un’adeguata strategia SEO di ottimizzazione, e quindi nemmeno raggiungere una buona posizione nella prima pagina dei risultati di Google.

Questo processo non è di sicuro uno dei più immediati, perché presuppone un lavoro di brainstorming iniziale e poi di analisi attraverso strumenti appositi.

Tuttavia una volta individuate le parole chiave il gioco è fatto: basterà “soltanto” monitorare il loro andamento con alcuni strumenti, come Google Analytics, Google Search Console, o altri toolSEO (una semplice ricerca online permetterà di scroprire che il web ne è pieno).

A ogni keyword la sua pagina!

Il passo successivo consiste nello scegliere e nell’abbinare la keyword con la relativa pagina web.

In questo modo ogni pagina del tuo sito acquisirà ranking per una determinata parola e questo permetterà di ottenere posizionamenti organici differenti in base al tipo di ricerca effettuata.

Più keyword specifiche utilizzi per l’ottimizzazione delle pagine del tuo sito, migliore sarà il posizionamento organico che potrai ottenere.

Ottimizzazione dei contenuti

Grafica che rappresenta il lavoro online

L’ottimizzazione dei contenuti è un altro aspetto importante della SEO, poiché essi sono il motivo per cui gli utenti visitano un sito web.

A seguire elenchiamo alcune azioni che possono essere compiute per ottimizzare i propri contenuti.

Sbarazzati dei contenuti duplicati!

I contenuti duplicati non sono di certo una buona strategia SEO, anzi: sono un vero e proprio disastro a livello di posizionamento. Google infatti apprezza e tende a favorire i siti che mostrano costanza nella produzione di contenuti originali, quindi non copiati né duplicati.

Ad esempio, la pratica di copiare interamente una frase, magari da un altro blog, può comportare una penalizzazione da parte di Google per il sito che la riproduce. Questo perché il motore di ricerca tende a privilegiare il contenuto originale rispetto a quello copiato su più siti web. Lo stesso vale per i siti e-Commerce, che spesso fanno grande uso di contenuti duplicati per le descrizioni dei prodotti (descrizioni che, spesso, sono prese dai siti dei produttori). Non rielaborando questi testi, tutti gli e-Commerce che vendono un determinato prodotto si ritrovano ad avere pagine completamente identiche. Questo approccio ai contenuti porta a pesanti penalizzazioni da parte di Google, tra cui anche quella di finire in fondo alle pagine dei risultati.

Ecco che quindi diventa fondamentale “pulire” il proprio sito dai contenuti duplicati e, per quanto possibile, ottimizzare descrizioni o testi (per sapere se un testo è duplicato, ci sono strumenti appositi, online. Ad esempio, consigliamo Copyscape).

Mantieni il ranking con le parole chiave!

Come detto in precedenza, le keyword sono fondamentali per il posizionamento organico di un sito web, e questo si evince anche dal massiccio uso che se ne fa.

Perché il tuo sito rimanga saldo nella sua posizione – e non scivoli verso il fondo della SERP con il passare del tempo – devi imparare a sfruttare al massimo le parole chiave.

Ciò significa che, oltre ad abbinare la parola chiave ad una pagina, dovrai inserirla anche:

  • Nella URL
  • Nel title tag
  • Nel titolo della pagina (il Page Title)
  • Nella Meta Description, che spesso viene dimenticata, pur essendo importantissima. Si tratta di quella piccola descrizione che appare sotto il titolo proposto nei risultati delle pagine di Google. Quella cortissima descrizione, che non può essere lunga più di 156/160 caratteri, ha una grossa responsabilità: quella di catturare la curiosità dell’utente e portarlo a cliccare sulla pagina in questione. È quindi fondamentale elaborare Meta Description accattivanti, che stimolino la voglia di saperne di più, e che ovviamente contengano la keyword e la call to action.
  • Nel contenuto della pagina (all’interno del testo visibile agli utenti)
  • Nella descrizione delle immagini (il tag alt-text). La ragione? Insieme ai video, costituiscono la forma di comunicazione online più immediata. Ecco perché è fondamentale arricchire i propri contenuti di immagini che siano utili ed Ciò permetterà ai tuoi contenuti di aver maggiore rilevanza e accuratezza.

Gestione dei link

La gestione dei link è un fattore estremamente importante per la SEO, poiché può influenzare significativamente il posizionamento organico di un sito web sui motori di ricerca. Ci sono diversi tipi di attività di linking che possono essere utilizzati per ottimizzare la presenza online di un’azienda:

  1. Inbound linking. Questa attività consiste nell’ottenere link di qualità provenienti da siti web affidabili e autorevoli. I motori di ricerca valutano la qualità dei link in ingresso per determinare la rilevanza e l’autorevolezza di un sito web. Pertanto, è importante concentrarsi sulla creazione di link di qualità per migliorare il posizionamento sulle SERP.
  2. Outbound linking. Oltre alla creazione di link in ingresso, è importante anche offrire link verso altri siti web affidabili e utili. Questa attività di outbound linking può influenzare positivamente la reputazione online dell’azienda, poiché dimostra che si è a conoscenza delle informazioni presenti sul web e si vuole fornire un servizio completo e accurato ai propri utenti.
  3. Internal linking. Questa attività consiste nel creare collegamenti tra le diverse pagine di un sito web, al fine di migliorare la navigazione degli utenti e l’indicizzazione dei motori di ricerca. Un’efficace attività di internal linking può aiutare i motori di ricerca a comprendere la struttura del sito web, migliorando così la rilevanza e il posizionamento sui motori di ricerca.

Monitoraggio

Infine, il monitoraggio delle performance e l’aggiornamento costante del sito web sono fondamentali per garantire un buon posizionamento organico sui motori di ricerca. Bisogna monitorare il traffico del sito, le parole chiave, i link in ingresso e le eventuali penalizzazioni, e apportare le modifiche necessarie per migliorare la SEO del sito.

Inoltre, bisogna aggiornare costantemente il sito web con nuovi contenuti, nuove informazioni e nuove funzionalità, per mantenere l’interesse degli utenti e dei motori di ricerca.

Rendiamo li tuo sito a prova di SEO?

L’ottimizzazione SEO è un aspetto fondamentale per il successo di un sito web. Seguire le migliori pratiche e le tecniche più efficaci può fare la differenza tra essere trovati dai propri clienti o rimanere invisibili sui motori di ricerca. Sei pronto ad aumentare la visibilità del tuo sito? Contattaci per ricevere supporto nell’ottimizzazione SEO del tuo sito web.

Come valorizzare un’azienda con il brand storytelling

Per un brand, lavorare sulla sua storia e sul racconto della sua storia è fondamentale per molteplici motivi. In questo articolo approfondiremo il tema dello storytelling aziendale e descriveremo i vantaggi, le modalità per conseguirlo al meglio e le ragioni che sottostanno al successo di una bella storia.

Oggi più che mai è necessario avere una storia

Nel mondo moderno, dove la connessione tra utenti e marchi è sempre più forte e consapevole, gli stessi brand devono rinnovare la narrazione personale per rimanere competitivi.

È necessario avere un punto di vista fresco e innovativo, ma anche intrecciare in modo coerente e fluido le storie del passato con il presente.

Non importa se il brand è un classico “heritage brand” che esiste da decenni o addirittura secoli, o se è un marchio più giovane. Ciò che conta è la capacità di raccontare la propria storia e di umanizzare il brand, in modo da creare un legame emotivo con gli utenti.

Tenete molto a bene questo concetto, perché ci torneremo spesso, di seguito…

La tua storia: unica, perché diversa da tutte le altre

Le storie hanno sempre affascinato le persone per le emozioni che suscitano e per la relazione che creano con le loro vite.

Molti marchi, tuttavia, non hanno ancora abbracciato il concetto fondamentale di “narrazione del proprio brand”, probabilmente per la “paura dell’ignoto” che accompagna tante aziende (il classico “ma non lo abbiamo mai fatto”), oppure per la mancanza di competenze specifiche all’interno del proprio staff.

Di certo, però, c’è che i brand cercano costantemente di differenziarsi dalla concorrenza, e il brand storytelling può essere proprio quella strategia capace di esprimere e valorizzare l’unicità di un’azienda (e, tra poco, vedremo come e perché). Il Brand Storytelling è fondamentale per creare un’identità distintiva, che può contribuire a costruire la fiducia degli utenti.

Non avere una lunga storia non vuol dire non avere una storia!

In passato, le persone guardavano alla storia dell’azienda per valutarne l’affidabilità.  I marchi con una lunga storia erano considerati stabili e affidabili, semplicemente perché… esistevano da tanto tempo, avevano un passato (spesso raccontato come glorioso) e rappresentavano un qualcosa che aveva attraversato gli anni. I marchi più giovani e più nuovi, invece, erano guardati con maggiore scetticismo.

Negli ultimi anni, però, questa percezione è cambiata.

Ciò che conta è l’equity del brand, ovvero la creazione di esperienze positive che spingano le persone a scegliere un brand rispetto a altri che offrono prodotti simili. Non è la storia passata di un brand a renderlo appetibile, ma anche la storia che un brand sa raccontare adesso, nel presente. Il racconto in quanto anticipazione di una esperienza coinvolgente è qualcosa di incredibilmente stimolante.

Heritage branding, in breve

Il brand storytelling offre un’opportunità unica per costruire un legame emotivo con le persone. Anche se un brand non ha una storia centenaria, può comunque sfruttare i principi della heritage branding per creare una narrazione coinvolgente e autentica.

Il concetto di heritage branding meriterebbe un articolo a sé. Tuttavia, ci sembra corretto farvi un accenno, spiegando a grandi linee di che cosa si tratta e quali sono i suoi principi base.

Con “heritage branding” si intende indicare una strategia di marketing che si concentra sulle radici storiche e culturali di un’azienda o di un prodotto. In un mondo sempre più globalizzato e omogeneo, fare heritage branding può essere un modo efficace per distinguersi dalla concorrenza e creare un legame emotivo con le persone. Qui di seguito i tre principi base di questa strategia:

  1. La storia dell’azienda o del prodotto deve essere considerata come un valore aggiunto. Gli anni di esperienza e di tradizione sono un patrimonio che può essere utilizzato per creare un’immagine distintiva e rafforzare la reputazione dell’azienda. (Ad esempio, una marca di abbigliamento che può vantare una lunga tradizione di produzione di tessuti di alta qualità può utilizzare questa storia per promuovere la propria eccellenza e la propria autenticità. In questo modo, la storia diventa un elemento distintivo che permette all’azienda di differenziarsi dalla concorrenza e di creare un valore aggiunto).
  2. La conservazione del patrimonio. Le aziende che utilizzano la heritage branding devono essere consapevoli della propria storia e delle proprie radici culturali, e devono impegnarsi per preservarle e valorizzarle. (Ad esempio, un’azienda di prodotti alimentari che utilizza ingredienti tradizionali e metodi di produzione artigianali deve fare in modo che questi elementi siano al centro della propria comunicazione e della propria immagine. In questo modo, l’azienda può creare un legame emotivo con quelle persone che si identificano con la tradizione e la storia dell’azienda).
  3. L‘evoluzione della tradizione. Le aziende che utilizzano la heritage branding non devono essere bloccate nel passato, ma devono essere in grado di evolvere e di adattarsi ai cambiamenti del mercato e delle tendenze. La tradizione non deve essere vista come un’ancora al passato, ma come un trampolino di lancio per innovare e creare nuovi prodotti e servizi. (Ad esempio, un’azienda di abbigliamento che utilizza tessuti tradizionali può creare nuovi modelli e design che rispettano la propria storia ma che sono anche al passo con le ultime tendenze. In questo modo, l’azienda può mantenere la propria identità e la propria storia, ma allo stesso tempo essere innovativa e al passo con i tempi).

Perché lo storytelling è importante?

Raccontare una storia accattivante, avvicina le persone ai valori fondamentali del proprio brand e le invita a interagire(“Questo è il tipo di business da cui voglio acquistare!”, o “Questo brand può davvero risolvere il mio problema!”).

Il brand storytelling, non è solo finalizzato ad attirare gli utenti. Una storia coinvolgente può attrarre e trattenere anche i migliori dipendenti, che guideranno la tua attività verso traguardi sempre più grandi e migliori.

Una storia accattivante farà del tuo brand un argomento di cui le persone vorranno parlare e che gli editori vorranno scrivere. In sintesi, lo storytelling non è solo un’opzione, ma un’opportunità per fare crescere il tuo brand e raggiungere i tuoi obiettivi aziendali.

Come acquisire consapevolezza sulla storia del proprio brand?

Prima di scrivere la propria storia, in quanto azienda, occorre maturare la consapevolezza di alcuni aspetti di sé e del modo in cui si approccia il mercato. Potremmo dire: prima di raccontare la propria storia bisogna conoscerla e conoscersi. Ri-leggersi per poi raccontarsi…

Storie fantastiche e dove trovarle

Per creare una narrazione coinvolgente, i brand devono prima trovare la propria storia.

Il brand story è composto da tutti gli elementi che definiscono il brand, tra i quali:

  • la storia dell’azienda
  • la missione
  • l’ispirazione (o visione)
  • la raison d’être (il why del quale abbiamo parlato nell’articolo dedicato al concetto di Golden Circle… se ve lo siete perso, cliccate sul link).
  • gli obiettivi
  • il pubblico di riferimento (o target)

Oltre a questo, bisogna anche considerare le persone, i luoghi e le idee che – tutti insieme – fanno di un brand ciò che è.

La storia di un brand funziona come le fondamenta che sorreggono un edificio, aiutandolo ad erigersi tra gli altri, sempre più in alto. E proprio come le fondamenta di un edificio, anche il brand storytelling può essere realizzato in vari modi, ma deve sempre essere “solido”, ovvero: “comunicato in modo coerente su tutti i media” e “continuo”, ovvero: privo di “vuoti” nella narrazione e nei valori espressi tramite la narrazione stessa.

Consapevoli di sé, diversi da tutti.

Acquisire consapevolezza sulla storia del proprio brand è un passo essenziale per distinguersi nella miriade di informazioni presenti sul mercato e creare un legame con gli utenti.

Innanzitutto, è necessario comprendere la missione del proprio brand e la propria posizione sul mercato.

Rispondere a queste domande, rivela informazioni vitali su ciò che rende il proprio prodotto diverso, interessante e attraente per gli altri. Inoltre, conoscere il proprio passato aiuta a capire dove si sta andando.

È importante raccontare la propria storia attraverso i personaggi principali che hanno contribuito alla creazione del brand, mostrando anche eventuali insuccessi che hanno portato alla nascita di successi.

Inoltre, è fondamentale riconoscere eventuali vuoti nella storia del brand, che spesso rappresentano le storie più interessanti, e saperli raccontare con onestà e trasparenza.

La consapevolezza della storia del proprio brand è una risorsa fondamentale per creare un’immagine distintiva e coinvolgente per i propri clienti, e deve essere una parte integrante della strategia di marketing di ogni azienda.

Come trovare il cuore del proprio storytelling aziendale?

Come abbiamo detto in precedenza, il cuore dello storytelling aziendale è costituito da tutte le cose che un’azienda è e fa, dalla sua storia alla sua mission, ispirazione, obiettivi, pubblico e raison d’être.

La storia della tua azienda deve risuonare con le persone a un livello che va oltre ciò che è tangibile, come la funzionalità, le caratteristiche e i benefici dei tuoi prodotti o servizi, per creare un profondo legame emotivo con il tuo pubblico.

Cinque consigli per creare un brand storytelling efficace

Creare un brand storytelling efficace richiede di seguire alcune metodologie e tecniche per rendere la storia del brand accattivante e coinvolgente per il pubblico di riferimento. Ecco alcuni utili consigli per comprendere meglio (e raccontare meglio) la propria storia aziendale:

  1. La storia delle origini – È importante partire dalla storia della nascita dell’azienda e scrivere un resoconto dettagliato, includendo aneddoti e fatti interessanti che hanno portato l’azienda fino a questo punto. Non importa se la storia sembra poco entusiasmante inizialmente, perché il pubblico apprezza le storie di successo che partono da umili origini e si possono sempre aggiungere elementi di storytelling per renderla coinvolgente in seguito.
  2. Il perché che muove l’azienda – In secondo luogo, è necessario definire una dichiarazione unica che spieghi perché l’azienda esiste e cosa la differenzia dai concorrenti. Questo è il secondo passo della storia del brand che guiderà la narrazione del brand mentre evolve. Questa dichiarazione dovrebbe essere in grado di posizionare il brand rispetto alla concorrenza e sottolineare i valori che l’azienda porta avanti.
  3. Bisogna conoscere chi si ha di fronte – Per costruire una storia del brand coinvolgente, è importante anche capire il pubblico di riferimento e cercare di stabilire un’empatia con esso. Ciò può essere fatto utilizzando tecniche di storytelling, come ad esempio l’uso di personaggi in cui il pubblico si può identificare (ne parliamo qui sotto) o la creazione di situazioni che suscitano emozioni e coinvolgono il pubblico.
  4. La tua azienda è un personaggio – Una volta definita la dichiarazione di intenti, è possibile costruire una narrazione più ampia attorno al brand, scegliendo il tipo di personaggio che il brand vuole rappresentare nella storia. Questo può essere il protagonista, il ribelle o un personaggio che possa creare un rapporto di fiducia e affidabilità con il pubblico di riferimento. Ad esempio, il brand può scegliere di essere un mentore che aiuta i suoi clienti a raggiungere il loro massimo potenziale.
  5. Infine, è importante sottolineare che la storia del brand è in continua evoluzione e va aggiornata regolarmente per adattarsi ai cambiamenti dell’azienda e del mercato. Mantenere la storia del brand attuale e in linea con i valori dell’azienda può aiutare ad aumentare l’interesse del pubblico e a migliorare il coinvolgimento.

In sintesi, per creare un brand storytelling efficace è necessario partire dalla storia dell’azienda, definire una dichiarazione di intenti unica, costruire una narrazione coinvolgente e aggiornare regolarmente la storia del brand per mantenere il pubblico interessato e coinvolto.

Se tutto questo è chiaro, potete già stappare la penna o aprire il laptop, temperare la matita o predisporre il vostro sistema di scrittura preferito e… lanciarvi in questo viaggio narrativo.

Se, invece, volete approfondire un po’ di più l’essenza dello storytelling, continuate a leggere.

Che cosa fa di una “storia” una “grande storia”?

Come sostiene Charlie Jones, esperto di brand storytelling, molte aziende commettono l’errore di concentrarsi sulla parte esteriore del brand, come il logo o la palette di colori, trascurando l’aspetto fondamentale della narrazione. Ogni brand ha una sua storia, ma quello che differenzia i grandi marchi è la capacità di farla emergere e di farla diventare il fulcro della propria immagine.

Funziona! Ma… come? Meccanismi dello storytelling.

Secondo Jonathan Gabay, brand psychologist che ha lavorato con grandi aziende come Dell ed Everlast, brand e consumatori sono “storie in corso”, e queste storie sono ciò che unisce tutti in un obiettivo comune.

Quando le persone si impegnano in una storia di un brand, il brand si posiziona come personaggio chiave nella narrazione e questo è ciò a cui le persone si associano. Man mano che la storia si evolve, le persone trovano attributi comuni tra loro e il brand, o caratteristiche alle quali aspirano, allo stesso modo in cui lo fanno con i personaggi di un libro o di un film.

Il brand storytelling funziona perché coinvolge emotivamente il pubblico, che si identifica con la storia e con il suo personaggio principale. La psicologia del brand storytelling è una tecnica che si basa sulla creazione di una narrazione che si sviluppa nel tempo, con l’obiettivo di creare un’identità del brand e una connessione emotiva con il pubblico. Inoltre, i brand possono utilizzare varie tipologie di personaggi all’interno della storia, come il “ribelle”, l’ “underdog” o il “detective”. Queste figure hanno dimostrato di funzionare bene per coinvolgere il pubblico, poiché rispecchiano archetipi che le persone riconoscono e con cui si identificano.

Inoltre, il brand storytelling è un’ottima tecnica per creare una connessione con il pubblico, poiché si basa sulla creazione di una narrazione che racconta la storia del brand nel corso del tempo. Come sottolineato nel paragrafo precedente, il brand storytelling è una tecnica che evolve e cambia nel tempo, seguendo la storia dell’azienda e l’evoluzione del mercato. Ad esempio, Apple è stata un’azienda che ha iniziato come una start-up e si è evoluta fino a diventare una delle aziende più grandi e di successo al mondo. Apple ha saputo sfruttare la propria storia di “underdog” e oggi posiziona se stessa come un marchio di lusso, ma continua a mantenere la propria storia di fondo come parte della narrazione del brand. In questo modo, Apple si posiziona come una marca in grado di offrire soluzioni innovative per coloro che cercano di raggiungere il successo, mantenendo comunque il proprio fascino da “società agli inizi”, in cui molte persone possono identificarsi.

Raccontiamo la tua grande storia, insieme

Se ti serve un aiuto, un contributo, una spinta creativa

Se cerchi qualcuno che possa aiutarti a raccontare la tua unica, inimitabile, grande storia, allora dovresti parlare con noi.

Lavoriamo ogni giorno con gli eventi che hanno reso grandi i nostri clienti e, facendone storie coinvolgenti, aiutiamo le aziende a diventare ancora più grandi e autorevoli sul mercato.

Contattaci, e saremo lieti di ascoltare quello che hai da raccontare.

Rebranding: quando a un’azienda serve una nuova veste

Guardi un logo che hai sempre visto, è sempre lui, ma ha qualcosa di diverso.

Oppure, la tua marca preferita un bel giorno ha un aspetto tutto nuovo!

Quelle sensazioni di familiarità messa in dubbio o di assoluto straniamento sono frutto della stessa attività, eseguita con diversa intensità. Si tratta del rebranding e, di tanto in tanto, le aziende hanno necessità di farlo…

In questo articolo ci occupiamo proprio di rebranding e, più nello specifico, delle opportunità (e dei rischi) che si celano al di là di questa attività così coraggiosa e delicata, a volte indispensabile, da svolgersi sempre con la massima attenzione. Cercheremo di approfondire l’argomento, fornendo una definizione e una descrizione di alcune tipologie di rebranding, un’analisi di benefici e rischi, e alcune linee guida per capire se una azienda ne ha bisogno e in che modo può mettere in moto un’attività di questo tipo.

Che cos’è il rebranding?

Il rebranding è un processo strategico che consiste nella riprogettazione dell’identità aziendale, tramite la trasformazione dell’immagine del brand attraverso la modifica di elementi, tra i quali menzioniamo i seguenti:

  • il logo
  • il nome
  • i colori aziendali
  • il payoff

Tale processo può essere attivato per diverse ragioni, tra cui la necessità di rinnovamento, l’adeguamento alle nuove tendenze del mercato, l’ampliamento del pubblico di riferimento, la fusione o l’acquisizione di altre aziende, e così via.

Il rebranding è qualcosa che va al di là del semplice cambio del logo o del nome. Infatti, richiede un processo di attuazione più articolato e complesso, nel quale concorrono tempi, risorse e pianificazione strategica.

Grafica che rimanda al concetto di rebranding

Esistono diverse tipologie di rebranding, tra cui il rebranding totale, il rebranding parziale, il rebranding conservativo e il rebranding rivoluzionario, a seconda del grado di modifiche apportate all’identità aziendale.

Il rebranding può essere attivato come un cambiamento proattivo per migliorare la reputazione e la percezione del brand sul mercato, o come un cambiamento reattivo per risollevare la reputazione del brand in seguito a un danno subito. In ogni caso, il rebranding è un’ottima soluzione per rimanere competitivi e aggiornati nel mercato, e può avere un impatto significativo sulla reputazione e sull’appeal dell’azienda.

Tuttavia, il rebranding è anche un processo costoso. Pertanto, la decisione di avviare un’attività di rebranding deve essere ben ponderata e basata su una pianificazione strategica accurata.

Quanti tipi di rebranding esistono?

Esistono diversi tipi di rebranding che un’azienda può adottare per raggiungere i propri obiettivi di marketing e migliorare la percezione del proprio brand da parte dei consumatori. Secondo l’articolo “Different Types of Rebranding” pubblicato su brandingmagazine.com, ci sono 4 principali tipi di rebranding.

Schema riassuntivo delle diverse tipologie di rebranding

In sintesi, esistono diversi tipi di rebranding che un’azienda può adottare in base ai propri obiettivi di marketing e alle sfide che deve affrontare.

L’adozione di una strategia di rebranding può portare a importanti benefici in termini di posizionamento sul mercato, ma deve essere pianificata con attenzione per evitare di danneggiare la reputazione del marchio.

Perché il rebranding è importante?

L’importanza del rebranding risiede nella capacità di far evolvere l’immagine dell’azienda e di farla crescere in modo competitivo. Il rebranding può aiutare le aziende a differenziarsi dalla concorrenza, a comunicare un nuovo messaggio al mercato e ad attrarre nuovi clienti. Inoltre, può essere utile per le aziende che vogliono cambiare la loro posizione sul mercato, ad esempio passando da un’immagine economica a una più premium. Infine, può essere utile alle aziende che stanno cercando di espandersi a livello internazionale, poiché il marchio deve essere adattato per funzionare in diversi contesti culturali e linguistici.

Come capire se bisogna effettuare un rebranding?

Il processo di rebranding non deve essere intrapreso senza una adeguata valutazione e pianificazione.

Esistono alcune situazioni in cui potrebbe essere necessario effettuare un rebranding, come ad esempio:

  • Cambiamento nel posizionamento dell’azienda: se l’azienda cambia il proprio target di riferimento o vuole essere associata a valori diversi, può essere necessario un rebranding.
  • Problemi di reputazione: se l’azienda ha subito una perdita di reputazione, un rebranding potrebbe essere necessario per ricostruire l’immagine dell’azienda.
  • Cambiamento del mercato: se il mercato in cui l’azienda opera cambia radicalmente, potrebbe essere necessario effettuare un rebranding per rimanere al passo con le tendenze del mercato.
  • Consolidamento del marchio: se l’azienda ha molteplici marchi, potrebbe essere necessario un rebranding per consolidare l’immagine aziendale sotto un’unica identità.
  • Cambiamento di proprietà o fusione: in caso di cambiamento di proprietà o di fusione, può essere necessario effettuare un rebranding per riflettere la nuova struttura dell’azienda.

Come abbiamo più volte già sottolineato: prima di intraprendere questo percorso, è importante condurre una ricerca di mercato, un’analisi della concorrenza e una valutazione dei rischi e dei benefici. Inoltre, l’azienda dovrebbe considerare il budget e il tempo necessario per attuare il processo di rebranding e assicurarsi di avere il supporto di tutti i dipendenti e degli stakeholder coinvolti. Ecco perché abbiamo dedicato il seguente paragrafo ai “rischi del rebranding”… leggete con attenzione, perché è importante!

Quando il rebranding è un rischio?

Il rebranding, come abbiamo già detto, può comportare dei rischi: un cambiamento troppo radicale può allontanare i clienti esistenti, mentre un rebranding non sufficientemente motivato può risultare poco credibile.

È un processo che richiede una pianificazione attenta e un’analisi approfondita del mercato, dei concorrenti e delle tendenze di consumo, al fine di ottenere i migliori risultati possibili.

Pertanto, non deve mai essere eseguito in maniera affrettata, senza studi, dati e strategie a supporto di questa decisione.

Quali sono i potenziali rischi che un’azienda corre, facendo rebranding?

Rebranding: tanto è importante, tanto è rischioso. Per questo motivo, come abbiamo già detto, deve essere anticipato da fasi di studio e di analisi, in modo da evitare di incorrere in errori e, successivamente, nelle gravi conseguenze che questi errori potrebbero portare.

Il rischio principale è quello di alienare la propria base di clienti esistente. Quando un’azienda cambia il suo nome, il logo o l’immagine pubblica, può essere difficile per i clienti riconoscerla e identificarla come la stessa azienda a cui sono abituati. Questo può portare alla perdita di clienti e di riconoscibilità dell’azienda.

Persona indecisa

Ma non solo il rapporto con i clienti è a rischio, perché un cattivo rebranding può coinvolgere anche i dipendenti, con conseguenze tutt’altro che trascurabili. A titolo di esempio riportiamo, qui di seguito, alcune problematiche che potrebbero verificarsi a seguito di una attività di rebranding gestita male, o in modo troppo approssimativo, o senza uno studio approfondito delle ragioni e delle modalità.

Confusione e incertezza

Molto spesso i dipendenti di un’azienda si identificano con la sua immagine. Un rebranding mal eseguito può causare confusione e incertezza all’interno dell’organizzazione, poiché i dipendenti potrebbero smettere di identificarsi in qualcosa divenuto, per loro, irriconoscibile. Questo porta a piccoli o grandi “malfunzionamenti”,  che possono andare da quelli più immateriali (un generale disamoramento dei dipendenti) a quelli più pratici (un calo nella produttività, nell’efficienza, della partecipazione lavorativa ed emotiva, a vari livelli).

Una storia che si perde

Se l’attività di rebranding dovesse risultare troppo radicale e, se a seguito di questa attività, il nuovo logo, il nuovo nome, i nuovi valori non dovessero essere più in linea con la storia e la tradizione dell’azienda… ecco che i dipendenti potrebbero sentirsi destabilizzati, poiché privati di una identità (e di un complesso set valoriale) a cui erano affezionati (o, più semplicemente, abituati).

Perdita di senso di appartenenza

Il senso di appartenenza all’azienda è un fattore che influenza notevolmente la motivazione dei dipendenti e la loro capacità di produrre risultati. Se l’azienda perde la sua identità, i dipendenti potrebbero sentirsi meno motivati e meno legati all’azienda stessa. Un clima di incertezza e di confusione può comportare effetti negativi sul morale dei dipendenti, che potrebbero perdere la fiducia nella direzione dell’azienda e nella sua capacità di guidare l’impresa verso il successo. Questo potrebbe facilmente tradursi in una serie di deficit dal punto di vista produttivo, organizzativo, creativo (a seconda della tipologia di azienda e di prodotto / servizio offerto).

Perdita della stabilità

Un cambiamento troppo radicale o troppo improvviso del brand può causare un senso di disorientamento nei dipendenti. In particolare, questo può accadere quando i dipendenti si aspettano di lavorare per un’azienda dotata di una certa stabilità e capace di trasmettere un senso di certezza del futuro. Un repentino rebranding potrebbe mettere in dubbio quanto detto prima e portare, così, i dipendenti a dubitare della solidità e della affidabilità del loro posto di lavoro.

Mancato coinvolgimento

La perdita di identità causata da un rebranding errato potrebbe comportare un impatto sul morale dei dipendenti, che potrebbero sentirsi meno motivati e meno legati all’azienda. Per questo motivo un’azienda dovrebbe coinvolgere (quanto possibile) i propri dipendenti nel processo di rebranding. Fare il contrario, infatti, potrebbe portare alla nascita di un senso di alienazione e di distanza tra la direzione dell’azienda e il personale. E, in questo clima, i dipendenti (affezionati al marchio e abituati a percepirlo in un certo modo) potrebbero sentirsi come se le loro idee e le loro opzioni non fossero prese in considerazione dalla direzione. Inutile dire che, questo, condurrebbe ad un diffuso senso di sfiducia e di malcontento.

Altri rischi legati ad una attività di rebranding “improvvisata” possono includere:

  • la perdita di valore del marchio
  • la mancanza di differenziazione dal punto di vista del mercato
  • l’insoddisfazione dei dipendenti
  • la possibilità di una mancanza di risposta o di comprensione da parte dei clienti

Tuttavia, se un rebranding è ben pianificato, eseguito e comunicato, può portare vantaggi significativi per l’azienda, come una maggiore visibilità, una maggiore rilevanza, una nuova identità, un rinnovamento della cultura aziendale, la coerenza tra l’immagine interna ed esterna e un rafforzamento della relazione con i clienti.

Verso il rebranding, un passo alla volta

Per effettuare un rebranding, è importante seguire alcuni passaggi fondamentali per garantire il successo dell’operazione.

Qui di seguito riportiamo un elenco dei passi principali, specificando che si tratta di una checklist molto semplificata e che, come abbiamo già detto, attività di questo tipo richiedono tempo, nonché il supporto di professionisti specializzati.

  1. Bisogna analizzare la situazione attuale dell’azienda, identificando i punti di forza e di debolezza del brand e valutando la percezione che il pubblico ha dell’azienda.
  2. Occorre definire gli obiettivi del rebranding, che potrebbero essere diversi a seconda della situazione, ad esempio aumentare la notorietà del brand, migliorare la reputazione dell’azienda o attrarre nuovi clienti.
  3. Una volta stabiliti gli obiettivi, si deve procedere con l’ideazione del nuovo brand, che deve essere coerente con la vision e la mission dell’azienda. In questa fase, è ancor più importante coinvolgere un team di professionisti che possa aiutare a definire l’identità visiva e verbale del nuovo brand, partendo dal logo fino alla scelta dei colori e dei font.
  4. Una volta definita la nuova identità del brand, occorre testarlo attraverso ricerche di mercato e focus group per verificare la reazione del pubblico e la sua efficacia nel raggiungere gli obiettivi stabiliti in precedenza.
  5. Infine, bisogna pianificare la comunicazione del nuovo brand, attraverso l’utilizzo di tutti i canali disponibili, sia online che offline, in modo da garantire la massima visibilità.

Grafica che rimanda all'idea di connubio tra innovazione, soluzione e strategia

In generale, alcuni consigli utili per un’attività di rebranding sono:

  • Coinvolgere un team di professionisti esperti nel settore per garantire la massima efficacia dell’operazione;
  • Definire obiettivi realistici e concreti, che possano essere raggiunti nel breve-medio periodo;
  • Coinvolgere il pubblico nel processo di rebranding, attraverso survey e focus group;
  • Creare un piano di comunicazione dettagliato per presentare il nuovo brand al pubblico in modo efficace e coinvolgente.

Ricapitoliamo… e parliamone!

Il rebranding è una strategia di marketing che implica la creazione di una nuova immagine per un’azienda o un prodotto, allo scopo di rinnovarne l’immagine e di raggiungere nuovi target di mercato. Esistono diversi tipi di rebranding, come il rebranding strategico, di razionalizzazione, di modernizzazione e di rilancio. Il rebranding può essere attivato per diversi motivi, ma deve essere pianificato attentamente per evitare rischi e costi eccessivi. Il rebranding richiede tempo, risorse e pianificazione strategica accurata, ma può avere un impatto significativo sulla reputazione e sull’appeal dell’azienda. La decisione di avviare un’attività di rebranding deve essere ben ponderata e basata su una pianificazione strategica accurata, considerando i pro e i contro del processo di rebranding e le esigenze specifiche dell’azienda.

Se questo percorso ti incuriosisce, oppure si rende necessario per la tua azienda, saremo lieti di mettere il nostro team a tua disposizione. Contattaci, e ti aiuteremo a rinnovare il tuo marchio, donandogli nuova luce e tanta, tanta visibilità.

Value Proposition: la guida definitiva per creare valore per i tuoi clienti

In termini semplici, la Value Proposition può essere definita come il valore che un’azienda offre ai propri clienti. Questo valore può essere espresso in diversi modi, come la qualità dei prodotti o servizi offerti, i prezzi competitivi, la gamma di prodotti disponibili, la qualità del servizio clienti o l’esperienza d’acquisto. Tuttavia, per essere realmente efficace, la Value Proposition deve andare oltre questi aspetti fondamentali e creare un’esperienza d’acquisto che sia veramente memorabile per i clienti.

In questo articolo forniremo una breve definizione di Value Proposition, per poi esplorare i vantaggi che la rendono essenziale per un’azienda e le modalità grazie alle quali è possibile realizzare una Value Proposition efficace e d’impatto.

Tutti i contenuti trattati all’interno di questo articolo possono essere approfonditi scaricando l’ebook dedicato: una vera e propria guida alla Value Proposition, alla sua importanza, e alle tecniche per realizzarne una efficace e d’impatto. 

Che cos'è la Value Proposition?

 

Che cos’è la Value Proposition?

La Value Proposition è uno dei concetti centrali del marketing moderno.
Si tratta di un insieme di peculiarità che un’azienda offre ai propri clienti, distinguendosi dalla concorrenza.
Ci sono molte ragioni per cui una Value Proposition potrebbe essere importante per un’azienda. Tra queste, possiamo sicuramente menzionare le seguenti:

  • Aumentare la fedeltà del cliente e la propensione all’acquisto ripetuto.
  • Differenziarsi dalla concorrenza per attirare nuovi clienti.
  • Aumentare i margini di profitto grazie alla maggiore percezione di valore da parte dei clienti.

Per creare una Value Proposition efficace, le aziende devono comprendere appieno le esigenze e le aspettative dei propri clienti. Ciò significa condurre ricerche di mercato approfondite, monitorare l’evoluzione del settore e analizzare i dati sui clienti. Solo in questo modo possono creare un’esperienza d’acquisto davvero unica e personalizzata per i propri clienti.

value proposition perché è importante

 

Value Proposition, perché è importante?

La Value Proposition è un concetto fondamentale per le aziende che desiderano distinguersi dalla concorrenza e trasmettere ai clienti quegli ideali, valori e concetti che le rendono uniche sul mercato. 

La creazione di una Value Proposition chiara e convincente è un processo fondamentale per l’azienda. Non solo permette di trasmettere i propri valori e concetti, ma può aiutare l’azienda a fare una scelta consapevole sulle priorità da seguire e sulle strategie da adottare.

Inoltre, la Value Proposition può avere un impatto significativo sulle scelte dei consumatori. Una buona Value Proposition può attirare nuovi clienti, migliorare la reputazione dell’azienda e aumentare la fidelizzazione dei clienti esistenti. Inoltre, può essere utilizzata per sviluppare nuovi prodotti o servizi che soddisfino le esigenze dei clienti e li aiutino a raggiungere i loro obiettivi.

Oltre a quanto detto sopra, la Value Proposition può costituire un’opportunità per l’azienda di distinguersi sul mercato. Una Value Proposition ben definita può aiutare l’azienda a differenziarsi dai suoi concorrenti e a creare una posizione unica nel mercato.

 

Tipologie di Value Proposition

Esistono diversi tipi di Value Proposition, ognuno dei quali è mirato a raggiungere un obiettivo specifico e adatto a diverse situazioni di business. Vediamo le tre principali tipologie.

  • Company Value Proposition: La Value Proposition dell’azienda è la promessa generale ai clienti basata sui valori fondamentali dell’azienda. Definisce l’essenza dell’azienda e il motivo per cui dovrebbe essere scelta dai clienti rispetto ai suoi concorrenti. Viene espressa in una dichiarazione di missione o in un manifesto aziendale e può essere comunicata attraverso messaggi pubblicitari, contenuti del sito web, campagne di marketing o eventi aziendali.
  • Homepage Value Proposition: La Value Proposition della homepage è la promessa ai visitatori del sito web quando atterrano sulla homepage. Deve essere immediatamente comprensibile e coinvolgente per farli rimanere sul sito web e navigare verso altre pagine. Dovrebbe rispondere alle domande principali dei visitatori, ad esempio: “Che cosa fa l’azienda?” e “Perché dovrei scegliere questa azienda invece di altre?”.
  • Category Value Proposition: La Value Proposition della categoria è la promessa ai clienti all’interno di una specifica categoria di prodotti o servizi. Si concentra sulle esigenze specifiche dei clienti all’interno di una determinata categoria e cerca di distinguere l’azienda dai suoi concorrenti. Dovrebbe rispondere alle domande principali dei clienti all’interno di quella categoria, che potrebbero essere: “Quali sono i prodotti/servizi offerti?” e “Perché dovrei scegliere i prodotti/servizi di questa azienda, anziché optare per quelli di altre nel mercato?”.

Come creare una Value Proposition efficace?

 

Come creare una Value Proposition efficace?

Qui di seguito riportiamo alcuni consigli, tecniche e metodologie per iniziare a lavorare sulla Value Proposition della propria azienda. Tutti i concetti qui riportati (e molti altri ancora) sono approfonditamente trattati all’interno della guida alla creazione di una Corporate Value Proposition, disponibile per il download. 

 

Conosci il tuo pubblico di riferimento

Devi capire chi sono i tuoi clienti, cosa desiderano e quali problemi cercano di risolvere. In questo modo puoi creare una Value Proposition mirata che parla direttamente alle loro esigenze e desideri. Ad esempio, puoi fare delle ricerche di mercato, intervistare i tuoi clienti o analizzare i dati delle vendite per capire meglio il loro comportamento e le loro preferenze.

 

Capisci i costi e i benefici della tua offerta

Deve essere evidente che i vantaggi che offri superano i costi, sia in termini di tempo che di denaro. In questo modo, i tuoi clienti saranno più inclini a sceglierti rispetto ai concorrenti. Puoi anche cercare di offrire delle promozioni o dei pacchetti che rendono la tua offerta ancora più conveniente e allettante.

 

Analizza la concorrenza

Non devi solo concentrarti sulla tua offerta, ma anche sui tuoi concorrenti. Devi capire cosa offrono e cosa li rende unici. In questo modo, puoi creare una Value Proposition che ti differenzia e che ti permette di distinguerti dalla concorrenza.
Puoi anche cercare di migliorare i tuoi prodotti o servizi in base alle lacune che hai identificato nei prodotti dei tuoi concorrenti.
Oppure, puoi cercare di creare una relazione più forte con i tuoi clienti. Ad esempio, puoi offrire un servizio clienti migliore, rispondere alle domande e ai commenti dei clienti sui social media o creare una comunità di clienti attraverso i programmi di fidelizzazione.

Che cosa rende "top" una Value Proposition?

 

Che cosa rende “top” una Value Proposition?

Per concludere, dedichiamo questo capitolo agli aspetti che fanno, di una Value Proposition qualsiasi, una grande Value Proposition, meritevole di essere notata da tutti, memorabile e invidiabile dalla concorrenza. 

Qui di seguito riportiamo gli aspetti e le peculiarità che, secondo noi, possono aiutarti a scrivere un testo unico, accattivante, efficace. Tutti i concetti qui presentati potrai ritrovarli, approfonditi e dettagliati, all’interno della nostra guida alla creazione di una Value Proposition efficace. 

Per essere davvero “top”, una Value Proposition deve avere le seguenti caratteristiche: 

  • Risolvere un problema del cliente (dimostrando di conoscerne le esigenze e i desideri)
  • Aiutare l’azienda a differenziarsi dalla concorrenza (sottolineandone le unicità)
  • Essere chiara e semplice (così da poter essere compresa da tutti)
  • Specifica e concreta (legata ai reali vantaggi, priva di divagazioni)
  • Visibile e accessibile (facile da percepire, su tutti gli strumenti di comunicazione)
  • Sostenibile e flessibile (così da potersi adattare ai mutamenti di mercato)

 

 

GDPR e Privacy: cosa sono e come adeguarsi | Guida completa

Nell’evoluzione di un’azienda e nella sua espansione digitale l’elemento della legalità, della protezione dei dati e della privacy dei propri utenti è senza dubbio un elemento cruciale.

In questo articolo parliamo di tutto quello che c’è da sapere su GDPR e privacy, dalle definizioni normative ai casi pratici.

Privacy e la sicurezza dei dati: una sfida per le aziende

Privacy e la sicurezza dei dati: una sfida per le aziende

La protezione della privacy e della sicurezza dei dati dei propri utenti è un aspetto estremamente importante per qualsiasi azienda che operi nel contesto digitale. 

Oggi più che mai, viste le sempre più frequenti perdite di dati da parte dei grandi marchi tech, la protezione della privacy e della sicurezza dei dati degli utenti è un fattore chiave per il successo dell’azienda, anche perché sempre più utenti si dicono attenti a questi aspetti e ricercano, in un brand, affidabilità e serietà sotto questo punto di vista. 

Per contro, la violazione della privacy degli utenti e la perdita di dati sensibili possono avere conseguenze disastrose

Privacy e reputazione del brand

 

Privacy e reputazione del brand

In primo luogo, la perdita di dati sensibili degli utenti può causare un danno reputazionale all’azienda, minando la fiducia degli utenti e dei clienti nell’azienda stessa. La reputazione è un fattore chiave per il successo dell’azienda, perderla può avere un impatto negativo sulla percezione dell’azienda nel lungo periodo.

 

Violazioni e conseguenze legali

In secondo luogo, le violazioni della privacy degli utenti e la perdita di dati possono avere conseguenze legali per l’azienda. Le aziende possono essere soggette a sanzioni pecuniarie pesanti, richieste di risarcimento danni, azioni legali o anche la chiusura delle loro attività in seguito a gravi violazioni.

 

Sicurezza dei dati come diritto degli utenti

Inoltre, la protezione della privacy e della sicurezza dei dati degli utenti è importante per la tutela dei diritti fondamentali degli stessi utenti. Le informazioni personali degli utenti sono una risorsa preziosa e delicata che deve essere protetta, al fine di garantire la loro sicurezza e la loro libertà di scelta.

 

La Privacy come vantaggio competitivo 

Infine, l’attenzione alla privacy e alla sicurezza dei dati può rappresentare un vantaggio competitivo per l’azienda. Un’azienda che dimostra di avere un alto livello di sicurezza e di rispetto della privacy dei propri utenti, può guadagnare la fiducia dei propri clienti e attirare nuovi utenti interessati alla protezione dei propri dati, soprattutto in un periodo in cui queste tematiche sono molto sentite, come dicevamo poco sopra.

Che cosa dice la legge? Parliamo di GDPR.

Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) è entrato in vigore il 25 maggio 2018 e sostituisce la Direttiva sulla protezione dei dati del 1995.
In sintesi, il GDPR obbliga le aziende a rispettare rigorose norme sulla raccolta, l’elaborazione e la conservazione dei dati personali dei cittadini europei.
Le aziende devono essere in grado di dimostrare che rispettano le norme del GDPR e che hanno implementato le misure di sicurezza adeguate per proteggere i dati personali dei cittadini europei.

La normativa del GDPR, come abbiamo visto, si applica a tutte le aziende che trattano dati personali di cittadini europei. Questo è vero indipendentemente dalla loro ubicazione geografica. Ciò significa che le aziende al di fuori dell’UE che raccolgono o elaborano dati personali di cittadini europei sono tenute a rispettare il GDPR.

Il GDPR definisce i dati personali come qualsiasi informazione relativa a una persona fisica identificata o identificabile. Ciò può includere il nome, l’indirizzo e-mail, l’indirizzo IP, il numero di telefono, l’indirizzo postale, le informazioni bancarie, le immagini fotografiche, le informazioni mediche e altro ancora.

Il GDPR stabilisce che le aziende debbano fornire ai cittadini europei un controllo maggiore sui loro dati personali. Ciò significa che le persone hanno il diritto di sapere quali dati personali sono raccolti, l’uso che se ne fa e con chi vengono condivisi. Le persone hanno anche il diritto di richiedere la modifica o l’eliminazione dei propri dati personali e di opporsi al loro utilizzo.

In caso di violazione della normativa del GDPR, le aziende possono essere soggette a sanzioni amministrative. Per conoscerne l’entità, vi rimandiamo alla documentazione ufficiale, disponibile a questo indirizzo, per approfondire: 

https://ec.europa.eu/newsroom/article29/items/611237 

GDPR: come essere compliant?

GDPR: come essere compliant?

Essere compliant con il GDPR richiede l’implementazione di una serie di misure e controlli tecnici e organizzativi finalizzati alla protezione dei dati personali degli utenti. Qui di seguito raccogliamo una serie di possibili soluzioni, rimandando però alla consultazione della documentazione ufficiale, per accedre a informazioni sempre aggiornate: 

 

Il Data Protection Officer, o DPO

L’azienda deve nominare un responsabile della protezione dei dati (Data Protection Officer o DPO) che ha il compito di monitorare la conformità del trattamento dei dati personali rispetto al GDPR.

Misure di sicurezza per la protezione dei dati

 

Misure di sicurezza per la protezione dei dati

L’azienda deve adottare una serie di misure tecniche e organizzative per garantire la sicurezza dei dati personali degli utenti. Ad esempio, deve adottare politiche di sicurezza informatica. Tra queste, elenchiamo le più rilevanti, lasciando agli interessati il compito di accedere alla documentazione completa e alle linee guida: 

  • uso di password robuste
  • crittografia dei dati sensibili
  • uso di software antivirus
  • controllo degli accessi alle informazioni

Il GDPR, inoltre, prevede che le aziende debbano garantire la riservatezza e l’integrità dei dati, utilizzando modalità di trattamento adeguate al livello di rischio. Ad esempio, i dati sensibili (come quelli relativi alla salute o alle preferenze sessuali) devono essere trattati con particolare cautela, e deve essere prevista una specifica autorizzazione scritta dell’utente interessato.

Oltre a quanto riportato sopra, segnaliamo anche ulteriori best practices da adottarsi per mettere in sicurezza e mantenere protetti i dati degli utenti.

 

Valutazione del rischio di perdita dei dati

L’azienda deve effettuare una valutazione dei rischi per identificare eventuali minacce per la sicurezza dei dati personali e definire le azioni da intraprendere per mitigarle.

 

Informativa per gli utenti

L’azienda deve informare gli utenti sui loro diritti in relazione ai loro dati personali, ad esempio il diritto di accesso, il diritto alla rettifica e il diritto all’oblio

 

Consenso esplicito ed informato

L’azienda deve ottenere il consenso esplicito degli utenti per il trattamento dei loro dati personali e deve fornire loro informazioni trasparenti sui dati che vengono raccolti, come vengono utilizzati e con chi vengono condivisi.

 

Gestione della crisi e “data breach”

L’azienda deve essere in grado di rispondere rapidamente in caso di violazioni della sicurezza dei dati personali, notificando le autorità competenti entro 72 ore dalla scoperta della violazione. In caso di violazione che possa rappresentare un rischio elevato per i diritti e le libertà degli utenti, l’azienda deve anche informare gli utenti interessati.

 

Formazione sul tema della sicurezza 

Infine, l’azienda deve assicurarsi che tutti i dipendenti coinvolti nel trattamento dei dati personali siano adeguatamente formati e consapevoli delle norme di sicurezza e privacy da rispettare. 

Privacy degli utenti: che cosa dice la legge?

 

Privacy degli utenti: che cosa dice la legge?

La privacy degli utenti è una tematica molto importante e delicata, che ha assunto un’importanza ancora maggiore con l’avvento dell’era digitale. Come abbiamo visto poco sopra, nel contesto dell’Unione Europea, la privacy degli utenti è tutelata dal GDPR. Pertanto, ribadiamo rapidamente quanto già espresso sopra: 

I doveri delle aziende

Il GDPR prevede che l’azienda debba informare gli utenti in modo trasparente e chiaro sulle modalità di raccolta, trattamento e conservazione dei loro dati personali, compresi gli scopi per i quali verranno utilizzati e per quanto tempo verranno conservati. L’azienda deve inoltre garantire che i dati personali degli utenti siano adeguatamente protetti da accessi non autorizzati, perdita, distruzione o danneggiamento. I dati personali degli utenti possono essere trattati solo per scopi specifici e legittimi e solo se ci sono le giuste basi legali.

 

I diritti degli utenti

In particolare, il GDPR prevede che l’azienda debba rispettare i diritti degli utenti a disporre dei propri dati e, più nello specifico, che gli utenti possano avere: 

  1. diritto di accesso ai propri dati personali
  2. diritto alla rettifica
  3. diritto all’oblio
  4. diritto alla portabilità dei dati
  5. diritto di opporsi al trattamento dei propri dati
  6. diritto di revocare il consenso.

In caso di violazione delle norme previste dal GDPR, l’azienda può essere soggetta a sanzioni pecuniarie commisurate al danno causato ai propri utenti.

Privacy degli utenti, come proteggerla?

 

Privacy degli utenti, come proteggerla?

Data l’importanza di questa nuova forma di “ricchezza” che i dati costituiscono, e in ragione della loro delicatezza, vediamo ora quali modalità, strumenti e best practices le aziende possono mettere in atto per proteggere e preservare i dati dei propri utenti. 

L’elenco che riportiamo di seguito, ben lungi dall’essere completo ed esaustivo, offre però una visione generale su quelle attività che possono essere compiute per intraprendere il cammino della protezione della privacy dei propri utenti, per essere GDPR compliant e, quindi, in regola con quanto stabilito dalla UE. 

Ecco alcune possibili misure tecniche per proteggere la privacy dei propri utenti.

 

Limitare l’accesso ai dati

L’accesso ai dati personali dovrebbe essere limitato solo a coloro che effettivamente necessitano di accedervi per svolgere le proprie attività lavorative. In questo modo, le aziende possono evitare che i dati siano utilizzati per finalità non autorizzate o che siano compromessi da eventuali attacchi informatici.

 

Crittografare i dati sensibili

La crittografia dei dati è un metodo efficace per proteggere la privacy degli utenti. Attraverso la crittografia, i dati personali vengono trasformati in codici indecifrabili, rendendoli illeggibili per chi non dispone delle chiavi di decrittazione. Questo riduce il rischio che i dati vengano intercettati o rubati da terze parti non autorizzate.

 

Pianificare la gestione dei “data breach”

In caso di violazione della sicurezza dei dati, le aziende dovrebbero essere pronte a rispondere prontamente, in modo da limitare i danni potenziali. Ciò implica la predisposizione di un piano di gestione delle violazioni dei dati, che definisce le azioni da intraprendere in caso di perdita, accesso non autorizzato o divulgazione dei dati personali.

 

Formazione del personale

Una formazione adeguata del personale è un’importante misura per proteggere la privacy degli utenti. I dipendenti devono essere consapevoli dei rischi legati al trattamento dei dati personali e delle procedure da seguire per minimizzare questi rischi.
Ciò può includere, tra le altre cose, la formazione sulla gestione delle password, la sicurezza delle e-mail, la conoscenza di comportamenti digitali potenzialmente rischiosi. 

recap e takeaways

 

Recap e takeaways

L’argomento privacy è tanto importante quanto complesso. Proprio per questo, suggeriamo delle fonti (autorevoli ed ufficiali) alle quali rimandiamo tutti coloro i quali fossero interessati (o, magari, tenuti a formarsi sulla questione). 

Oltre a fornire fonti di approfondimento, riportiamo anche un breve elenco dei punti chiave trattati in questo articolo, così che possa fare da comoda (seppur parziale) checklist. Uno strumento per chiunque volesse valutare, rapidamente, il grado di adeguamento della propria azienda alle normative sulla privacy. 

GDPR & Privacy: alcune fonti

  • Per consultare il GDPR, un motore di ricerca dedicato: https://gdpr-info.eu/ 
  • Per consultare una guida completa, per essere certi che la propria azienda sia conforme a quanto stabilito dal GDPR: https://gdpr.eu/ 

Sicurezza e protezione dei dati: una checklist

  1. Studiare la legge. La protezione della privacy e della sicurezza dei dati è fondamentale per qualsiasi azienda che operi nel contesto digitale, poiché la violazione della privacy degli utenti e la perdita di dati sensibili possono avere conseguenze disastrose. Fate riferimento alle fonti (riportate in questo articolo) per sapere che cosa fare e come. 
  1. Approfondire il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), poiché stabilisce norme rigorose sulla raccolta, l’elaborazione e la conservazione dei dati personali dei cittadini europei, obbligando le aziende a implementare misure tecniche e organizzative per garantire la sicurezza dei dati personali degli utenti.
  2. Investire nella Privacy, perché è parte della Brand Equity di un’azienda. Le aziende, infatti, possono dimostrare la loro attenzione alla privacy e alla sicurezza dei dati, guadagnando la fiducia dei propri clienti e attirando nuovi utenti interessati alla protezione dei propri dati.
  3. Per chi volesse “una checklist nella checklist”, ecco un punto “bonus”. Dal seguente link è possibile consultare una lista molto precisa di attività da svolgersi per essere “a prova di GDPR”: https://gdpr.eu/checklist/ 

 

Un partner per la protezione dei tuoi dati

Se la tua azienda sta cercando un supporto professionale per gestire la conformità al GDPR e alla Privacy, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti a identificare le aree di rischio e a fornirti le soluzioni giuste per soddisfare le normative sulla protezione dei dati. 

 

Economia dell’attenzione e Personal Branding: come sfruttare LinkedIn per il B2B

L’economia dell’attenzione è diventata il nuovo paradigma dell’economia moderna. In un mondo in cui il contenuto è accessibile a tutti, la concorrenza per l’attenzione del pubblico è diventata estremamente alta. Per avere successo, i creatori di contenuti devono creare qualcosa di unico che catturi l’attenzione dell’utente. In questo scenario, il Personal Branding è uno strumento potente per farsi notare in un mondo affollato di contenuti

Costruire un personal branding efficace su LinkedIn è fondamentale per avere successo nel contesto B2B. In questo articolo, ti forniremo consigli e strategie per costruire il tuo personal branding su LinkedIn e sfruttarlo nel contesto B2B.

Che cos’è l’economia dell’attenzione?

L’economia dell’attenzione è un termine che si riferisce al fatto che l’attenzione delle persone è diventata la risorsa più preziosa dell’economia moderna. Con l’avvento di internet e della tecnologia, il contenuto è diventato accessibile a tutti, e questo ha portato a una sovrabbondanza di informazioni e di opzioni tra cui scegliere. In questa nuova era, il valore non risiede solo nel creare contenuti di alta qualità, ma anche nel catturare e mantenere l’attenzione dell’utente.

Il problema principale con l’economia dell’attenzione, per contro, è che la quantità di contenuti disponibili è esplosa. Ogni individuo con un dispositivo mobile e una connessione internet può creare e distribuire il proprio contenuto, il che significa che la concorrenza per l’attenzione è diventata estremamente alta

Perché l’attenzione del pubblico è un valore?

Ciò che rende l’economia dell’attenzione così importante è che la maggior parte dei prodotti, servizi e idee sono ormai disponibili online, il che significa che la competizione è globale

L’unico modo per emergere è creare un’esperienza coinvolgente e memorabile per il pubblico. I creatori di contenuti devono essere in grado di catturare l’attenzione degli utenti e di mantenerla, offrendo contenuti rilevanti e di alta qualità.

 

Per avere successo nell’economia dell’attenzione, è importante comprendere che l’attenzione è limitata e preziosa. Le persone sono disposte a pagare per il contenuto e l’esperienza che ritengono di valore, e quindi i creatori di contenuti devono creare contenuti che soddisfino i bisogni del pubblico e che siano rilevanti per loro. La chiave per il successo è creare contenuti unici, coinvolgenti e di alta qualità, che si distinguano da quelli prodotti dalla massa.

Come ottenere l’attenzione: il Personal Branding

Che cos’è il Personal Branding

Il personal branding può essere definito come il processo di creare un brand personale attraverso la promozione di sé stessi, le proprie competenze e le proprie passioni. È un’attività che richiede tempo, impegno e coerenza, ma che può portare a molti vantaggi

Quali vantaggi porta il Personal Branding

Qui di seguito forniamo un elenco dettagliato di alcuni dei vantaggi che una buona strategia di personal branding può portare ad aziende, professionisti, enti e content creator: 

 

  • attraverso il personal branding si può diventare un leader aziendale più strategico e moderno, in grado di distinguersi dagli altri professionisti del proprio settore. 
  • si ha la possibilità di ampliare la propria rete di contatti a livello globale, incontrando persone che possono offrire nuove opportunità di lavoro, partnership o collaborazioni. 
  • si può instaurare una relazione migliore con i prospect, i clienti, i colleghi e i partner, creando così un ambiente lavorativo più collaborativo ed efficace. 
  • attraverso il personal branding si può diventare più digital-savvy, acquisendo competenze nel campo dei social media e delle nuove tecnologie
  • lavorare al personal branding consente di imparare e crescere in modo pratico, acquisendo una visione più completa dei motivi per cui le tecnologie sociali stanno causando una rivoluzione in molti settori. 

 

Oltre a quanto sopra espresso sotto forma di elenco, però, vi sono altri vantaggi che meritano di essere menzionati e dettagliati, per via della loro importanza.

Il personal branding aiuta ad acquisire talenti

Un personal brand di qualità può aiutare a attrarre talenti di valore per l’azienda. Oggi, i candidati alla ricerca di lavoro si informano sul CEO dell’azienda per capire se questa può rappresentare una buona opportunità per la loro carriera. Se sei un leader riconosciuto nel tuo settore, sarai in grado di attrarre nuovi talenti per le posizioni aperte. Persone intelligenti e capaci cercheranno di lavorare con te per contribuire al tuo successo. Maggiore è l’influenza che hai nel tuo mercato, maggiori saranno le possibilità di avere professionisti di talento a tua disposizione.

Aumenta le vendite con il personal branding

Le persone sono il 77% più propense a comprare da un’azienda se il CEO utilizza i social media. Questo è particolarmente importante nel mercato B2B, dove il processo di acquisto può durare tra sei e dodici mesi. Curare la propria presenza digitale è quindi fondamentale per accelerare il processo di acquisizione dei clienti.

Creare una presenza sui social media autentica e genuina permette al pubblico di capire te e il tuo marchio e di connettersi con te su un livello umano. In fin dei conti, non stai vendendo a un’azienda, ma a una persona.

Il personal branding aiuta a controllare la narrazione

Il tuo personal brand è l’intersezione tra chi sei e cosa fai, quindi proteggerlo è essenziale. Un personal brand consolidato ha il potere di amplificare il successo dell’azienda. Al contrario, senza una strategia ben strutturata si rischia di lasciare spazio alla narrazione che gli altri faranno di te, della tua azienda, del tuo prodotto. Per questo motivo è importante fare personal branding, producendo contenuti che portino beneficio alla propria azienda, alla propria persona e, soprattutto, che guidino la narrazione che si vuol dare di queste cose. Il personal brand, potremmo dire, offre il controllo su come si è percepiti nel mercato e, quindi, su come gli altri vedono e giudicano l’operato di persone e aziende. 

Costruisci la fiducia con il personal branding

Utilizzando il tuo personal brand, puoi partecipare a discussioni di tendenza per condividere le tue opinioni e aprire una linea di comunicazione con il tuo pubblico. La comunicazione chiara e l’interazione sono fondamentali per stabilire la fiducia e la credibilità per te e la tua azienda.

 

In sintesi, il personal branding è uno strumento potente per farsi notare in un mondo affollato di contenuti, per ampliare la propria rete di contatti e per migliorare le opportunità di carriera. Scegliere di intraprendere questo percorso, approfondendone gli strumenti e le metodologie, può costituire un vantaggio competitivo per molte aziende e molti professionisti

 

Come costruire un Personal Branding efficace

  • Conosci i tuoi obiettivi e il tuo pubblico di riferimento. Per costruire un personal branding efficace, devi avere ben chiari gli obiettivi che vuoi raggiungere e il tuo pubblico di riferimento. Una volta che hai definito questi elementi, puoi adattare i tuoi contenuti per soddisfare le esigenze del tuo pubblico di riferimento e raggiungere i tuoi obiettivi.
  • Scegli e ottimizza i tuoi account sui social media. Non è necessario creare un account su ogni piattaforma social, ma bisogna selezionare quelle che attirano il pubblico di riferimento. Ad esempio, LinkedIn, Facebook e Twitter sono spesso utilizzati nel settore B2B. Assicurati che il tuo profilo sui social media sia coerente con la tua immagine e il tuo brand e che includa immagini professionali e un titolo accattivante.
  • Crea un calendario di pubblicazione costante. La costanza è fondamentale per il personal branding, per cui è importante creare un calendario editoriale e rispettarlo. Si consiglia di pubblicare almeno due o tre volte alla settimana.
  • Interagisci con il tuo pubblico per far crescere il tuo brand. Il personal branding serve a creare relazioni genuine e significative con il pubblico di riferimento, per cui è importante interagire con il pubblico. In questo modo, potrai trasformare i prospect in lead e far crescere il tuo brand.
  • Sii autentico. La personalità è un fattore importante per il personal branding, per cui è importante essere autentici. Devi essere coerente con il tuo brand e le tue attività, e i tuoi contenuti devono rispecchiare la tua personalità.
  • Fornisci contenuti di valore. Il personal branding è basato sulla condivisione di contenuti di valore che rispondono alle esigenze del pubblico di riferimento. Devi fornire contenuti educativi e informativi che risolvono i problemi del tuo pubblico di riferimento e dimostrare la tua esperienza.
  • Usa il tuo brand in modo coerente. Assicurati che il tuo brand sia coerente in ogni contesto, da quello online a quello offline. Utilizza lo stesso stile e lo stesso tono di voce in tutte le tue attività di branding.
  • Partecipa a eventi e conferenze. Partecipare a eventi e conferenze del tuo settore può aiutarti a costruire il tuo personal branding e a fare networking. In questo modo, potrai metterti in mostra e stabilire relazioni significative con i tuoi colleghi e il tuo pubblico di riferimento.
  • Costruisci la tua autorevolezza. Essere autorevole nel tuo settore può aumentare la tua credibilità e la tua visibilità. Scrivi articoli su argomenti pertinenti al tuo settore, partecipa a podcast e webinar, e utilizza i social media per condividere i tuoi pensieri e le tue esperienze.
  • Misura i tuoi risultati e adatta la tua strategia di conseguenza. Il personal branding richiede un lavoro costante, ma è importante monitorare i tuoi risultati e adattare la tua strategia di conseguenza. Misura le metriche di engagement e di visibilità per capire cosa funziona e cosa no, e apporta i cambiamenti necessari per ottenere risultati migliori.

Personal Branding su LinkedIn per il B2B

Costruire un personal branding efficace su LinkedIn è fondamentale per avere successo nel contesto B2B. LinkedIn è una piattaforma professionale che consente di connettersi con professionisti di tutto il mondo, costruire una forte rete di contatti e creare opportunità di lavoro, partnership o collaborazioni.

Ecco alcuni consigli e strategie per costruire il proprio personal branding su LinkedIn e sfruttarlo nel contesto B2B:

  • Ottimizza il tuo profilo: il tuo profilo LinkedIn è il tuo biglietto da visita online, per cui devi assicurarti che sia professionale e che evidenzi le tue competenze e le tue esperienze.
  • Crea contenuti di valore: creare contenuti di valore è fondamentale per costruire la tua autorità su LinkedIn. Cerca di scrivere post educativi e informativi che rispondano alle esigenze del tuo pubblico di riferimento.
  • Partecipa attivamente alle discussioni: partecipare alle discussioni è un ottimo modo per creare relazioni genuine e significative su LinkedIn. Cerca di partecipare attivamente alle discussioni nei gruppi pertinenti al tuo settore e rispondi ai commenti e alle domande del tuo pubblico.
  • Collabora con altre aziende: la collaborazione con altre aziende è un ottimo modo per espandere la tua rete di contatti e creare partnership di successo. Cerca aziende che operano nel tuo stesso settore e che condividono i tuoi stessi valori per collaborare a progetti comuni.
  • Sii coerente: è importante essere coerenti nel proprio personal branding su LinkedIn. Usa lo stesso stile e lo stesso tono di voce in ogni contesto, da quello online a quello offline.
  • Fornisci contenuti di valore per il tuo pubblico B2B: nel contesto B2B, è importante fornire contenuti che rispondano alle esigenze del tuo pubblico di riferimento. Cerca di scrivere post che siano pertinenti al tuo settore e che forniscano soluzioni ai problemi del tuo pubblico.
  • Fai networking con altri professionisti B2B: LinkedIn è un ottimo modo per fare networking con altri professionisti del tuo settore. Cerca di connetterti con persone che lavorano nel tuo stesso campo e partecipa a eventi e conferenze per ampliare la tua rete di contatti.

 

In sintesi, costruire un personal branding efficace su LinkedIn è fondamentale per avere successo nel contesto B2B. Seguendo questi consigli e strategie, sarai in grado di creare una forte presenza online, costruire relazioni significative e creare opportunità di lavoro, partnership o collaborazioni.