Lead generation avanzata con tecnologie AI e dati: trasformare i contatti in clienti reali

Rispetto a solo pochi anni fa, la lead generation è cambiata.

L’avvento dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie di analisi avanzata ha infatti ridefinito il modo in cui le aziende identificano e coltivano i prospect (potenziali clienti), introducendo nuovi standard di precisione e scalabilità. 

Per le PMI che operano nel mercato B2B, spesso alla ricerca di un equilibrio tra risorse contenute e obiettivi commerciali ambiziosi, la vera sfida è oggi trasformare i contatti in opportunità concrete e qualificare il funnel con criteri più rigorosi. 

L’unione tra AI e dati consente di prevedere comportamenti, riconoscere pattern d’interesse e ottimizzare gli sforzi di marketing e vendita, aprendo la strada a un modello di lead generation più efficace, misurabile e orientato al risultato.

Cos’è la lead generation avanzata con AI e dati

La lead generation avanzata è un processo data-driven che utilizza tecnologie AI per analizzare grandi volumi di informazioni provenienti da touchpoint digitali diversi (sito web, campagne ADV, e-mail, CRM, interazioni con chatbot o avatar AI).
A differenza della lead generation tradizionale, incentrata soprattutto sulla raccolta dei contatti, questo approccio punta a
identificarne il valore reale sulla base di segnali comportamentali, interessi dimostrati e probabilità di conversione.


L’AI
può interpretare micro-azioni spesso invisibili all’occhio umano: tempo trascorso su una pagina, sequenza di navigazione, contenuti scaricati, interazioni ripetute, ma anche pattern ricorrenti che suggeriscono un’intenzione d’acquisto.
L’obiettivo si sposta così dall’ottenere lead al riconoscere quali presentano un
interesse autentico, per offrire a marketing e vendite informazioni più precise e tempestive. 

Come funziona l’analisi predittiva nella lead generation

L’analisi predittiva applicata alla lead generation sfrutta algoritmi di machine learning per riconoscere schemi comportamentali e prevedere la propensione all’acquisto dei singoli utenti o dei segmenti di mercato. Il sistema impara costantemente dai dati: osserva come si comportano i lead che in passato sono diventati clienti, individua caratteristiche comuni e applica gli stessi criteri ai nuovi contatti.

Tale processo permette di creare segmentazioni dinamiche che si aggiornano in tempo reale, superando i tradizionali criteri statici basati su demografia o settore. Un lead può passare da “freddo” a “caldo” in pochi minuti sulla base delle ultime azioni compiute, e l’AI recepisce immediatamente questi cambiamenti.

Il risultato è una gestione del funnel più precisa e strategica:

  • Il reparto marketing può attivare contenuti personalizzati o automazioni su misura.
  • Il team Sales può concentrarsi sui contatti con maggiore probabilità di conversione.
  • L’intera pipeline diventa più efficiente, poiché si riducono gli sprechi e la velocità di conversione aumenta.

In pratica, l’analisi predittiva trasforma la lead generation da processo reattivo a processo proattivo: non si aspetta che un lead dichiari interesse, ma lo si anticipa grazie ai dati.

Le tecnologie chiave utilizzate nella lead generation avanzata

Machine learning per la profilazione evoluta

Il machine learning aggiorna costantemente i profili degli utenti, analizzando comportamenti, interessi e segnali d’acquisto. Ciò permette di superare la logica dei segmenti statici e creare cluster dinamici e più accurati, rendendo la comunicazione delle PMI molto più mirata ed efficace.

Chatbot e avatar AI per il primo contatto

Chatbot intelligenti e avatar AI qualificano il lead sin dal primo scambio, raccogliendo informazioni essenziali e rispondendo in tempo reale. Grazie alla disponibilità H24 e alla capacità di dialogare in modo naturale, queste tecnologie generano insight utili e permettono di iniziare il funnel con dati già strutturati e lead più preparati. 

CRM evoluti e integrazioni AI-native

I moderni CRM integrano funzioni AI che automatizzano il lead scoring e attivano workflow di nurturing personalizzati. Le comunicazioni si adattano al comportamento del lead e alla fase del percorso d’acquisto, sostenendo il lavoro commerciale (qualità utile soprattutto nei contesti B2B con cicli decisionali più lunghi).

Sistemi predittivi per stimare la probabilità di conversione

L’AI analizza dati passati e comportamenti attuali per stimare la probabilità di conversione di ogni lead. In questo modo, è possibile definire priorità commerciali più chiare, intervenire sui contatti più promettenti e ridurre tempi e dispersioni lungo il funnel.

Marketing automation e personalizzazione scalabile

Le piattaforme di marketing automation generano e-mail, contenuti e follow-up che si adattano automaticamente alle azioni compiute dagli utenti. Anche con risorse limitate, una PMI può così offrire comunicazioni rilevanti a migliaia di lead, aumentando engagement e velocità di conversione.

I principali benefici per le PMI B2B

Qualificazione più precisa = meno sprechi

Per molte PMI operative nel comparto B2B, uno dei principali problemi della lead generation tradizionale è la quantità di tempo investito su contatti con scarso valore commerciale.

L’approccio AI-driven ribalta questo scenario: grazie alla lettura dei comportamenti, dei segnali d’interesse e della propensione all’acquisto, i team possono concentrarsi solo sui lead realmente promettenti. La conseguenza è duplice: da un lato si riducono sprechi di tempo e risorse; dall’altro, aumenta l’efficienza complessiva del funnel, perché il lavoro commerciale si concentra dove può generare un impatto reale.

Esperienze più personalizzate, più conversioni

L’intelligenza artificiale permette di adattare messaggi, contenuti e comunicazioni alla fase del percorso in cui si trova il lead e alle sue azioni recenti. Ciò porta a una “personalizzazione scalabile”: un lead che visita ripetutamente una pagina prodotto riceverà un contenuto avanzato; uno che ha appena scaricato un ebook verrà inserito in un flusso di nurturing dedicato.

Per le PMI, spesso prive di grandi team marketing interni, la personalizzazione automatizzata è una leva strategica che aumenta le conversioni senza aggiungere complessità. Ciascun contatto riceve infatti il messaggio giusto nel momento più opportuno, riducendo il tasso di abbandono e accelerando il passaggio alle fasi “calde” del funnel.

Ottimizzazione continua grazie ai dati real-time

Tra i maggiori vantaggi di una strategia di lead generation basata su AI vi è la capacità di monitorare le performance in tempo reale. KPI come tasso di conversione, qualità dei lead, engagement o durata del ciclo di vendita diventano misurabili e confrontabili giorno dopo giorno.

Questa supervisione costante consente miglioramenti iterativi: le campagne vengono ottimizzate rapidamente, i modelli predittivi si aggiornano con nuovi dati e l’intera strategia evolve insieme al comportamento degli utenti. Il risultato per l’impresa? Decisioni più rapide, margini d’errore ridotti e massimizzazione dell’efficacia dell’investimento.

Allineamento tra marketing e vendite

Quando marketing e vendite lavorano su dati condivisi, la pipeline è inevitabilmente più fluida e prevedibile. L’AI contribuisce in modo decisivo a questo allineamento: tutti i team accedono agli stessi segnali, allo stesso lead scoring e alle stesse informazioni raccolte dai chatbot, dai form o dal CRM.

Si eliminano così i “silos” informativi, spesso causa di ritardi, duplicazioni o incomprensioni. Le vendite ricevono lead già qualificati e ben contestualizzati; il marketing può misurare l’impatto delle azioni e migliorare i propri processi. Si ottiene, in pratica, una collaborazione più efficace e orientata all’obiettivo comune: chiudere più opportunità, più velocemente.

Scalabilità senza complessità

Una strategia di lead generation alimentata da AI permette alle PMI di crescere senza aumentare proporzionalmente carico, costi o complessità operativa. L’introduzione di nuovi canali digitali, la gestione di volumi più alti o l’espansione verso mercati diversi diventano processi fluidi e sostenibili, perché la tecnologia assorbe la parte più onerosa del lavoro.

Cinque consigli per implementare una strategia AI-driven nella pratica

 

  • Integrare un CRM evoluto con funzionalità AI-native: il primo passo è dotarsi di un CRM in grado di centralizzare tutti i dati di marketing e vendita, gestire lead scoring automatici e attivare workflow intelligenti. Un sistema AI-native offre una visione unica del cliente, identifica i lead più promettenti e automatizza le attività ripetitive, lasciando spazio al lavoro strategico dei team.
  • Introdurre chatbot e avatar AI per il primo contatto: questi strumenti consentono di qualificare il lead già dalle prime interazioni, raccogliendo informazioni essenziali e rispondendo alle richieste in tempo reale. La disponibilità H24 accelera i tempi di risposta e mantiene attiva la conversazione anche quando il team non è operativo, migliorando la qualità del funnel fin dalle sue prime fasi.
  • Applicare modelli di predictive scoring: che analizzano dati storici e comportamenti attuali per classificare automaticamente il potenziale dei lead. In questo modo, marketing e vendite possono concentrarsi sui contatti più vicini alla conversione, riducendo dispersioni e velocizzando l’intero percorso commerciale.
  • Automatizzare campagne e follow-up personalizzati: workflow basati su trigger comportamentali consentono di inviare contenuti e comunicazioni personalizzate in base alle azioni compiute dall’utente. L’automazione rende il nurturing più efficace, garantendo messaggi pertinenti senza aumentare il carico operativo dei team.
  • Monitorare KPI e migliorare i modelli nel tempo: conversion rate, lead quality score, sales velocity e altri KPI mostrano in tempo reale cosa funziona e cosa va migliorato. I modelli AI si affinano progressivamente grazie ai nuovi dati, rendendo il sistema sempre più preciso ed efficiente.

Lead generation alimentata dall’AI: conoscere e superare le sfide

Integrazione dei dati e complessità dei sistemi

Uno degli ostacoli principali per le PMI riguarda l’integrazione delle diverse fonti dati: sito, CRM, campagne advertising, chatbot, piattaforme e-mail. Senza una base solida, l’AI non può infatti operare in modo efficace. La soluzione è un ecosistema centralizzato (tipicamente attorno a un CRM evoluto) in cui i dati siano puliti, coerenti e aggiornati. Unificando le sorgenti si ottiene una visione completa del lead e si rendono possibili scoring, automazioni e analisi predittive affidabili.

Formazione e adozione interna

L’introduzione di strumenti AI richiede un cambiamento nelle abitudini operative di marketing e vendite: anche il miglior sistema non porta risultati se i team non sanno come utilizzarlo o non comprendono il valore dei nuovi processi. Investire nella formazione è dunque fondamentale per massimizzare i risultati dell’adozione della nuova tecnologia. In più, aumentare la familiarità con i nuovi strumenti riduce le resistenze e migliora la collaborazione tra reparti.

Privacy, GDPR e gestione etica dei dati

Abbiamo spiegato che la lead generation AI-driven si basa sulla raccolta e sull’analisi di dati. Tuttavia, ciò richiede un approccio rigoroso alla privacy. Minimizzazione dei dati, consenso esplicito, sicurezza delle informazioni e trasparenza nelle finalità sono i pilastri che garantiscono la conformità al GDPR.

Essere chiari con gli utenti su cosa viene raccolto e perché non è solo un obbligo normativo: aumenta la fiducia, migliora la percezione del brand e rende la relazione più solida. Una gestione etica dei dati è quindi parte integrante (e imprescindibile) di una moderna strategia di lead generation.

Trend futuri: il futuro della lead generation AI-driven

Metaverso e lead acquisition immersiva

Nei prossimi anni, il metaverso offrirà nuovi spazi per acquisire e coinvolgere potenziali clienti: eventi virtuali, showroom interattivi e avatar AI permetteranno alle aziende di creare esperienze più immersive e memorabili, capaci di generare lead altamente qualificati.

Voice search e ricerche conversazionali

Con l’aumento delle ricerche vocali, cambiano le modalità con cui gli utenti esprimono i propri bisogni: le query diventano più lunghe, naturali e contestuali. L’AI interpreta intenzioni e sfumature linguistiche, aprendo nuove opportunità per intercettare utenti in momenti chiave del loro percorso informativo e decisionale.

Potere dei first-party data

In un contesto sempre più attento alla privacy, i dati di prima parte diventano il vero vantaggio competitivo. Grazie all’analisi AI, questi dati proprietari permettono di costruire modelli predittivi più accurati, strategie più personalizzate e un approccio realmente privacy-first alla lead generation.

Per concludere: perché AI + dati fanno la differenza nell’acquisizione dei clienti

L’integrazione di AI e analisi dei dati sta trasformando la lead generation da semplice raccolta di contatti a processo evoluto, predittivo e orientato al risultato. Per le aziende, questa evoluzione può portare a lead più qualificati, ridurre gli sprechi operativi, personalizzare l’esperienza e rendere il funnel più veloce ed efficace.

Adottare una strategia AI-driven va quindi considerato una leva concreta di crescita, poiché permette di ottimizzare il ROI, migliorare l’allineamento tra marketing e vendite e rendere la pipeline commerciale più solida e prevedibile.

Naxa supporta le imprese in questo percorso, integrando tecnologia, metodo e visione strategica per costruire sistemi di lead generation realmente performanti, sostenibili e adatti alle esigenze delle PMI.

Vuoi trasformare i contatti in clienti reali? Costruiamo insieme la tua strategia AI-driven.

Migliori agenzie SEO in Italia: scegliere il partner giusto per la crescita online

Fino a qualche anno fa, l’esigenza delle aziende che si affidavano ai professionisti del marketing digitale era, essenzialmente, quella di farsi trovare online. Oggi, le regole del gioco sono cambiate e la vera sfida è farsi scegliere dalle persone, dai motori di ricerca e da algoritmi sempre più sofisticati, poiché la visibilità organica è ormai un terreno strategico in cui tecnologia, contenuto e credibilità si intrecciano, determinando il successo o l’anonimato di un brand.

Di conseguenza, le agenzie SEO sono passate dall’essere un team tecnico che ottimizza le pagine web in front-end e back-end a consulenti strategici che interpretano dati, costruiscono solide architetture informative e guidano la crescita digitale complessiva.

Perché affidarsi a un’agenzia SEO sarà fondamentale nel 2026

Nel tempo, la SEO è passata dall’essere una disciplina prettamente tecnica a una leva strategica di crescita aziendale. L’attuale “visibilità organica” non si misura più soltanto in termini di traffico, quanto piuttosto in qualità delle interazioni, reputazione e solidità del brand nel lungo periodo.

In un contesto ormai sempre più dominato dall’intelligenza artificiale e da ecosistemi digitali in evoluzione, affidarsi a un’agenzia SEO competente significa scegliere un partner in grado di guidare l’impresa tra algoritmi, dati e nuove abitudini di ricerca, mantenendo una rotta stabile verso la crescita.

Il valore del posizionamento organico per il business digitale

Essere visibili nel momento esatto in cui un utente manifesta un’esigenza è il punto di partenza di qualunque strategia di crescita.

Come è noto, il posizionamento organico permette di intercettare la domanda qualificata, ossia composta da persone realmente interessate ai prodotti o ai servizi offerti, riducendo la dispersione di risorse tipica delle campagne pubblicitarie a pagamento.

A differenza del traffico generato dall’advertising, che svanisce una volta terminato l’investimento, la SEO costruisce un patrimonio di visibilità stabile e cumulativo: ogni contenuto ottimizzato, ogni backlink, ogni miglioramento tecnico contribuisce infatti a rafforzare la reputazione digitale del brand. Da ciò si intuisce che il posizionamento organico è una leva di autorevolezza e fiducia, che genera valore nel tempo e di riduce la dipendenza dalle piattaforme pubblicitarie.

Dalla SEO tecnica alla strategia integrata

Diversamente dal passato, in cui gli interventi tecnici erano il pane quotidiano dei SEO specialist, i motori di ricerca premiano oggi esperienze digitali complete, coerenti e utili per l’utente. Ecco perché le migliori strategie SEO integrano competenze tecniche, content strategy, UX design e digital PR in un universo digitale che lavora su più livelli.

Una pagina web veloce, ben strutturata e semantica serve quanto un contenuto utile e credibile, e la SEO efficace è quella che unisce struttura, linguaggio e valore informativo, creando un’esperienza fluida per persone e algoritmi.

Di recente, però, il concetto stesso di ottimizzazione si è ampliato ulteriormente. Oltre alla SEO “tradizionale”, sono entrate in gioco nuove dimensioni come AEO (Answer Engine Optimization) e GEO (Generative Engine Optimization), che estendono la visibilità anche ai motori di risposta e alle AI generative.

Come abbiamo approfondito in questo nostro precedente articolo sul tema, integrare le tre prospettive permette ai brand di:

  • Farsi trovare nei motori di ricerca tradizionali (SEO).
  • Farsi scegliere come risposta diretta dagli assistenti vocali e dagli snippet (AEO).
  • Farsi citare e riconoscere dalle intelligenze artificiali generative (GEO).

Grazie a una strategia completa e coordinata, la SEO diventa dunque il cuore di un sistema di visibilità integrato, in cui la tecnologia non è un fine ma un mezzo per rendere i contenuti più accessibili, coerenti e umano-centrici.

Come riconoscere le migliori agenzie SEO in Italia

Scegliere la giusta agenzia SEO equivale a individuare un partner strategico che offre valore duraturo all’impresa, specialmente in un contesto in cui le logiche di ricerca cambiano rapidamente e l’intelligenza artificiale riscrive le regole della visibilità. 

La differenza tra un fornitore operativo e un consulente strategico si misura nella visione, nel metodo e nella trasparenza dei risultati, e quelli a seguire sono i principali elementi che distinguono le migliori agenzie SEO in Italia da tutte le altre.

Approccio strategico e consulenziale

Un’agenzia SEO di alto livello parte sempre dall’ascolto: prima di proporre soluzioni, analizza in profondità il modello di business, i mercati di riferimento e gli obiettivi aziendali, definendo una strategia su misura e un set di KPI realistici e misurabili. La SEO non è infatti un’attività isolata, ma un processo continuo che richiede visione, metodo e coordinamento.

Le migliori agenzie affiancano i propri clienti come veri partner di crescita, integrando la strategia SEO nelle logiche di comunicazione, performance e posizionamento competitivo. In più, questo approccio consulenziale consente di pianificare interventi a breve, medio e lungo termine, con un percorso evolutivo che accompagna l’azienda nel tempo e si adatta alle nuove sfide del mercato digitale.

Tecnologia e data-driven SEO

Le decisioni efficaci si basano sui dati, non sulle sensazioni. Le migliori agenzie SEO italiane adottano quindi un approccio data-driven, supportato da strumenti di analisi avanzata, intelligenza artificiale e automazione.

Dashboard personalizzate, algoritmi predittivi e sistemi di monitoraggio permettono di analizzare keyword, trend di ricerca, backlink e performance dei contenuti in tempo reale, offrendo l’opportunità di anticipare i cambiamenti, ottimizzare le strategie e massimizzare i risultati.

Attenzione, però: una SEO tecnologicamente evoluta non sostituisce la creatività, ma la potenzia, fornendo insight concreti per migliorare la qualità dei contenuti e la precisione delle decisioni strategiche.

Personalizzazione e flessibilità

Una buona agenzia SEO sa che non esiste una formula valida per tutti i settori o, peggio ancora, per tutte le aziende: il valore del servizio nasce invece dalla capacità di adattare la strategia alle specificità del cliente, del mercato e del pubblico di riferimento. Nel B2B, ad esempio, la SEO privilegia percorsi di nurturing e contenuti informativi; nel B2C o nell’e-commerce, lavora su traffico, esperienza utente e conversione. 

Le agenzie più evolute operano inoltre con un metodo agile e collaborativo, capace di evolvere insieme agli algoritmi, ai trend e agli obiettivi del brand. La flessibilità operativa è infatti la chiave per garantire continuità e performance in uno scenario digitale che non smette di cambiare.

Esperienza, risultati e trasparenza

In un mercato popolato da offerte simili, la credibilità è la discriminante più importante. Le migliori agenzie SEO dimostrano competenza attraverso case study, risultati documentati e testimonianze verificabili, così che il cliente abbia un quadro chiaro delle strategie adottate e dei risultati ottenuti.

La reportistica trasparente e la condivisione periodica dei dati sono segni distintivi di professionalità: permettono ai clienti di monitorare l’andamento delle campagne, comprendere le scelte strategiche e valutare il ritorno sugli investimenti. Allo stesso modo, una comunicazione aperta e costante consolida la fiducia e trasforma la collaborazione in una relazione di partnership reale, basata su obiettivi condivisi, misurabilità e crescita reciproca.

Le nuove tendenze SEO: cosa aspettarsi nel prossimo futuro?

La SEO sta attraversando una delle sue evoluzioni più rapide di sempre: l’’introduzione dell’intelligenza artificiale nei motori di ricerca, l’attenzione crescente all’esperienza utente e la richiesta di maggiore trasparenza stanno ridefinendo le regole del gioco. 

Le migliori agenzie SEO stanno già adattando i propri metodi a queste nuove logiche, con strategie più integrate, etiche e tecnologicamente avanzate.

Intelligenza artificiale e ricerca conversazionale

Con l’arrivo della Search Generative Experience (SGE) e dei motori di risposta basati su AI, la visibilità organica supera i confini della classica SERP. Le strategie SEO evolvono verso la già citata l’Answer Engine Optimization (AEO), puntando a rendere i contenuti facilmente interpretabili dagli algoritmi conversazionali.

Keyword più naturali, contenuti strutturati in forma di risposta e una UX centrata sulla chiarezza diventano così elementi cruciali per essere selezionati dalle intelligenze artificiali come fonti attendibili e rilevanti.

SEO tecnica e user experience

La qualità tecnica di un sito è oggi indissolubilmente legata alla sua capacità di offrire una buona esperienza utente, e parametri come Core Web Vitals, mobile-first design e accessibilità sono ormai fattori di ranking essenziali.

Una SEO moderna e avanzata esige di riflesso la collaborazione costante tra specialisti, sviluppatori e designer, per creare esperienze digitali rapide, coerenti e inclusive – tutti elementi che i motori di ricerca premiano in modo crescente.

SEO etica e sostenibilità digitale

In parallelo, cresce l’attenzione per una SEO etica e sostenibile, ossia in grado di rispettare la privacy degli utenti e ridurre l’impatto ambientale dei siti web. Le agenzie più consapevoli già promuovono l’uso responsabile dei dati, la trasparenza algoritmica e pratiche di ottimizzazione “green”, come la riduzione dei consumi di banda e hosting a basso impatto.

Una strategia SEO efficace, oggi, è anche quella che contribuisce a un ecosistema digitale più consapevole, responsabile e duraturo.

Come scegliere la migliore agenzia SEO per il tuo business?

Scegliere la giusta agenzia SEO va considerata una decisione strategica che incide direttamente sulla crescita e sulla reputazione digitale dell’azienda. In termini di criteri di valutazione, le migliori agenzie SEO si distinguono non tanto per la quantità di servizi offerti, quanto per la qualità del metodo con cui questi sono applicati.

Ecco i principali fattori da considerare nella scelta di un partner affidabile:

  • Esperienza settoriale: conoscere le dinamiche del proprio mercato di riferimento permette di sviluppare strategie più efficaci e targettizzate.
  • Competenze trasversali: una SEO realmente performante nasce dall’integrazione tra ottimizzazione tecnica, content strategy e data analytics, tre pilastri che consentono di collegare visibilità e conversioni.
  • Equilibrio tra consulenza e operatività: le migliori agenzie non si limitano a implementare azioni o attività, ma affiancano il cliente con un approccio consulenziale, traducendo i dati in scelte strategiche e supportando il business nel lungo periodo.

La migliore agenzia SEO è dunque quella che conosce il contesto, misura il risultato e agisce come parte integrante del team aziendale, invece che come semplice fornitore esterno. 

Naxa: l’agenzia SEO che trasforma la visibilità in crescita

Fondata nel 2007 come SEO agency, Naxa ha costruito le proprie fondamenta sull’analisi dei dati e sull’ottimizzazione dei motori di ricerca quando il concetto stesso di visibilità organica digitale era ancora agli albori. Quel DNA tecnico e analitico è rimasto il cuore pulsante dell’agenzia, anche dopo l’espansione verso la digital communication e il marketing strategico integrato e l’integrazione di una rosa completa di nuove competenze e servizi.

Oggi, Naxa continua a operare come un partner consulenziale unendo l’esperienza maturata in quasi vent’anni di SEO con il più avanzato know-how in ambito tecnologico, creativo e data-driven.

La nostra visione è quindi integrata: dati, contenuti e tecnologia lavorano in sinergia per potenziare la visibilità organica e consolidare la reputazione digitale dei brand. Questo approccio olistico consente di trasformare la SEO in un processo di miglioramento continuo, che influenza direttamente la crescita dell’azienda.

Ecco come operiamo: 

  • Consulenza e ascolto: il progetto inizia con un confronto diretto, per comprendere obiettivi, mercato, pubblico e potenziale di crescita. È da questa fase di analisi condivisa che prende forma una strategia SEO realmente su misura.
  • Audit tecnica e analisi semantica: procediamo poi con una diagnosi accurata di struttura, performance e contenuti, per identificare opportunità di miglioramento e nuove aree di visibilità.
  • Ottimizzazione continua e data-driven: adottiamo tecnologie proprietarie e strumenti avanzati di intelligenza artificiale per aggiornare costantemente strategie e keyword mapping, adattandole ai cambiamenti degli algoritmi e ai comportamenti degli utenti.
  • Integrazione SEO/AEO: sviluppiamo strategie che ottimizzano la presenza dei brand non solo sui motori di ricerca tradizionali, ma anche sui motori di risposta e sugli assistenti AI, garantendo visibilità anche nei nuovi contesti della ricerca conversazionale e generativa.
  • Monitoraggio e miglioramento costante delle performance: tutte le attività sono misurate e documentate con report trasparenti, per garantire al cliente una visione chiara dell’impatto generato in termini di ranking, traffico e conversioni.

Nel tempo, questo metodo ci ha permesso di consolidare relazioni durature con aziende di ogni settore e dimensione, accompagnandole in percorsi di evoluzione digitale concreti e sostenibili.

Scopri come possiamo aiutarti a trasformare la tua visibilità in crescita reale:
contattaci oggi stesso!

Come gli Avatar AI possono rivoluzionare il Customer Engagement

Il concetto di customer engagement sta subendo una trasformazione profonda, spinta dall’evoluzione digitale e da un’aspettativa crescente di personalizzazione, immediatezza e continuità da parte dei clienti. Oggi più che mai, essere presenti sui canali digitali deve significare anche instaurare relazioni autentiche, intelligenti e scalabili lungo tutto il customer journey.

In tal senso, gli avatar AI marcano una delle frontiere più innovative e strategiche del dialogo tra brand e persone. Grazie alla loro capacità di offrire assistenza empatica, multilingue e disponibile 24/7, questi assistenti virtuali replicano il supporto umano e lo estendono, lo arricchiscono e lo rendono più efficiente.

In special modo che per le aziende strutturate e di grandi dimensioni, che gestiscono ogni giorno volumi elevati di interazioni su scala nazionale e internazionale, integrare gli avatar AI nei flussi di comunicazione e assistenza significa anticipare il futuro del customer service, rafforzare il proprio posizionamento competitivo e liberare risorse interne per attività a maggiore valore aggiunto. 

Cosa sono gli Avatar AI e perché contano per il business

Gli avatar AI sono agenti conversazionali evoluti progettati per interagire con gli utenti attraverso un’interfaccia visiva realistica (spesso umanizzata) che può riprodurre espressioni facciali, linguaggio del corpo e tono di voce naturale. A differenza dei classici chatbot testuali, che rispondono a domande preimpostate tramite finestre di dialogo, gli avatar AI si presentano quindi come veri e propri digital human, ossia figure animate in grado di gestire conversazioni complesse, contestuali e multilingue.

Accessibili da sito web, app o totem interattivi, questi assistenti virtuali di nuova concezione sono alimentati da modelli di intelligenza artificiale generativa e possono essere utilizzati per una vasta gamma di attività: accoglienza, supporto clienti, vendita assistita, formazione e marketing conversazionale. La loro interazione va oltre la logica di domanda-risposta: integrano tono emotivo, contesto e comportamento dell’utente per offrire un’esperienza più empatica e naturale.

Tra le caratteristiche distintive che ne fanno uno strumento strategico per le aziende:

  • Empatia simulata e linguaggio umano, per creare un’interazione più coinvolgente e rassicurante.
  • Interazione continua e multicanale, disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza interruzioni.
  • Supporto multilingue nativo, utile per aziende che operano su mercati internazionali o multiculturali.
  • Scalabilità, che permette di gestire migliaia di richieste contemporaneamente, mantenendo qualità e coerenza.

Gli avatar AI sono dunque un nuovo touchpoint relazionale che trasforma il modo in cui i brand dialogano con clienti sempre più digitali, globali e connessi.

I vantaggi strategici degli avatar AI nel customer engagement

Integrare gli avatar AI nei processi di customer engagement significa ripensare radicalmente il modello di relazione con il cliente, tenendo conto che questi strumenti offrono benefici tangibili su più livelli: operativi, economici, esperienziali. 

Li scopriamo a seguire.

Assistenza continua e multilingue

Gli avatar AI sono disponibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza vincoli di orario o sovraccarichi di linea. Questa continuità di servizio permette alle aziende di garantire presenza costante, migliorare la reattività e offrire supporto in qualsiasi momento. In contesti internazionali, il supporto multilingue nativo abbatte le barriere linguistiche, facilitando l’interazione con utenti di culture e provenienze diverse senza necessità di risorse umane dedicate per ogni lingua.

Personalizzazione ed empatia

Grazie all’AI generativa, gli avatar AI possono adattare tono, ritmo e contenuti in base al comportamento, alla cronologia e persino all’emotività percepita dell’utente. Ciò consente di costruire un’esperienza più personale e coinvolgente, che replica una relazione umana autentica. L’empatia simulata diventa così una leva concreta per aumentare la fiducia, l’interesse e la soddisfazione del cliente.

Riduzione dei costi operativi

Automatizzando le interazioni più frequenti e standardizzate, gli avatar AI liberano il personale umano da attività ripetitive, riducendo in modo significativo i costi di gestione del customer service. L’adozione di questi sistemi permette di scalare le attività senza aumentare proporzionalmente i costi, ottimizzando le risorse e migliorando la sostenibilità dei processi.

Incremento delle conversioni e fidelizzazione

Un supporto tempestivo, contestuale e personalizzato è in grado di influenzare direttamente il tasso di conversione, sia nel B2C che nel B2B. Gli avatar AI accompagnano l’utente nel percorso di scelta, rispondendo a dubbi e ostacoli in tempo reale, proprio nei momenti decisivi del funnel. Inoltre, la qualità dell’interazione favorisce la customer loyalty, riducendo l’abbandono e rafforzando la relazione nel tempo.

Raccolta dati e insight per decisioni strategiche

Ogni interazione gestita da un avatar AI offre una fonte preziosa di dati: richieste frequenti, criticità ricorrenti, comportamenti, intenzioni d’acquisto. Queste informazioni possono essere analizzate per ottimizzare prodotti, servizi e processi, supportando le decisioni strategiche e alimentando modelli predittivi. Oltre che un cruciale strumento di supporto, l’AI diventa quindi anche generatore di conoscenza per l’intera organizzazione.

Casi concreti di applicazione degli avatar AI nel customer engagement

L’efficacia degli avatar AI nel customer engagement è una realtà già adottata da brand globali e organizzazioni in settori ad alta intensità di interazione con l’utente. Ecco alcuni esempi significativi che mostrano come questa tecnologia possa essere scalata, adattata e personalizzata in base a obiettivi e contesti differenti.

Bank of America – Erica

Uno dei casi più emblematici è Erica, l’avatar AI introdotto da Bank of America per fornire assistenza bancaria personalizzata ai propri clienti. Disponibile 24/7, Erica risponde utilizzando un linguaggio naturale a domande relative a pagamenti, movimenti di conto, pianificazione finanziaria e gestione delle spese. I risultati parlano chiaro: tempi di risposta ridotti, aumento della soddisfazione cliente e maggiore efficienza nel customer care.

Lyro: AI per e-commerce

Nel mondo dell’e-commerce, Lyro incarna un esempio avanzato di AI conversazionale in grado di gestire fino all’80% delle richieste frequenti. Grazie a un’interfaccia intuitiva e alla capacità di apprendimento automatico, Lyro garantisce una prima risposta entro pochi secondi e riduce il carico di lavoro per il supporto umano, migliorando i tempi di risoluzione e la customer experience.

H&M e Sephora: assistenza personalizzata in fase d’acquisto

Nel settore retail e fashion, player internazionali come H&M e Sephora utilizzano avatar AI per offrire supporto contestuale in tempo reale. L’utente riceve consigli personalizzati, indicazioni sui prodotti, assistenza su resi e disponibilità in store – tutto senza uscire dal percorso d’acquisto. In questo modo, l’interazione diventa fluida, guidata e orientata alla conversione.

Settori ad alta intensità di servizio: sanità, utility, turismo

Anche settori tradizionalmente meno digitalizzati stanno integrando avatar AI per potenziare l’interazione con il pubblico. Nella sanità, ad esempio, vengono utilizzati per gestire prenotazioni, fornire informazioni su esami e percorsi terapeutici. In ambito utility e telecomunicazioni, aiutano gli utenti a risolvere in autonomia problemi tecnici o amministrativi. Nel turismo, sono impiegati come concierge digitali per prenotazioni, informazioni di viaggio o servizi in loco.

Come misurare l’impatto: ROI e KPI degli Avatar AI

Per valutare l’efficacia di un avatar AI nel customer engagement, le aziende devono andare oltre l’aspetto tecnologico e concentrarsi su indicatori finanziari e operativi in grado di restituire un quadro oggettivo del valore generato. Misurare il ROI (Return on Investment) è fondamentale per prendere decisioni consapevoli e orientare correttamente la strategia.

Risparmio sui costi operativi

Uno dei primi benefici misurabili è la riduzione dei costi associati al customer service umano. Automatizzando le richieste ripetitive, che rappresentano spesso oltre il 60% delle interazioni, l’avatar AI abbatte i costi legati a personale, turni notturni, formazione e gestione delle fasi di picco. Il risparmio si estende anche a infrastrutture e strumenti tradizionali, sostituiti da soluzioni più scalabili e flessibili.

Tasso di automazione e tempo medio di risoluzione

Due KPI fondamentali per misurare l’efficienza operativa sono:

  • Il tasso di automazione, ovvero la percentuale di richieste gestite interamente dall’avatar senza necessità di escalation a un operatore.
  • Il tempo medio di risoluzione, che incide direttamente sulla soddisfazione dell’utente e sulla produttività complessiva del servizio.

Ridurre i tempi di risposta da minuti a pochi secondi significa offrire un’esperienza più fluida e aumentare la percezione di reattività del brand.

Incremento delle conversioni e riduzione del churn

Un’interazione più empatica, veloce e personalizzata incide positivamente sul tasso di conversione, soprattutto nei momenti chiave del funnel. Allo stesso tempo, migliora la fidelizzazione e riduce il rischio di abbandono (churn rate), soprattutto in settori dove l’esperienza utente è un elemento competitivo primario.

Costo per acquisizione cliente (CAC)

L’impiego di avatar AI anche nelle fasi iniziali del customer journey – come il lead nurturing o il supporto durante la navigazione – può contribuire a ridurre il CAC, migliorando il tasso di ingaggio e ottimizzando le campagne marketing. La possibilità di qualificare i lead in tempo reale, rispondendo a domande e dubbi iniziali, rende il funnel più efficace e meno dispersivo.

Esempio di calcolo ROI semplificato h4

Supponiamo che un’azienda gestisca in media 50.000 interazioni al mese con un team umano, con un costo medio per contatto pari a 1,80 €. L’introduzione di un avatar AI consente di automatizzare l’80% delle richieste, riducendo il costo per contatto a 0,25 €.

  • Risparmio mensile = (50.000 × 80%) × (1,80 € – 0,25 €) = 62.000 €
  • Costo di implementazione e mantenimento avatar AI: 120.000 € annuali

ROI annuo = ((62.000 × 12) – 120.000) / 120.000 × 100 = +520%

Naturalmente, i valori cambiano in base al settore e alla complessità del progetto, ma l’impatto potenziale è evidente. In media, il ROI completo di un progetto AI-based si manifesta entro 6–12 mesi, a seconda del grado di automazione, della qualità dell’implementazione e dell’integrazione nei processi aziendali.

Sfide e impatti organizzativi: il ruolo del change management

L’adozione di avatar AI nei processi di customer engagement richiede comunque una trasformazione culturale che coinvolge l’organizzazione nel suo insieme. Per generare valore in modo sostenibile, è essenziale accompagnare il cambiamento con una visione chiara, una comunicazione trasparente e un lavoro attento sulle persone e sulle competenze.

Effetti sul personale: meno compiti ripetitivi, più attività a valore

Uno dei primi impatti riguarda la redistribuzione del lavoro all’interno dei team customer service. Le attività più ripetitive e a basso valore – come la gestione di FAQ, richieste anagrafiche o aggiornamenti di stato – vengono assorbite dagli avatar AI. In questo modo, si liberano tempo e risorse umane da reimpiegare in interazioni più complesse, consulenziali o strategiche, generando un impatto positivo sull’engagement interno e sulla qualità del servizio offerto.

Gestione della resistenza al cambiamento

Qualunque trasformazione tecnologica può generare resistenze, soprattutto se viene percepita come una minaccia ai ruoli esistenti. In questi casi, la comunicazione interna gioca un ruolo cruciale: è fondamentale spiegare il perché del cambiamento, i benefici attesi per l’intera organizzazione e il valore aggiunto che l’AI può generare anche per i collaboratori. Coinvolgere attivamente i team fin dalle prime fasi di progetto aiuta a ridurre il senso di esclusione e costruisce alleanza verso l’innovazione.

Necessità di nuove competenze digitali

L’introduzione degli avatar AI richiede necessariamente un’evoluzione delle competenze: non solo tecniche, ma anche relazionali, analitiche e strategiche. Le figure interne devono essere formate per dialogare con i sistemi AI, leggere correttamente i dati generati dalle interazioni, gestire scenari ibridi e valorizzare l’intervento umano laddove necessario. In quest’ottica, la formazione continua va intesa come un investimento abilitante per la trasformazione digitale.

Mix equilibrato uomo-AI per preservare la fiducia dei clienti

Anche se gli utenti sono sempre più abituati a interagire con sistemi automatici, il contatto umano resta un elemento fondamentale di fiducia, soprattutto in ambiti sensibili o ad alta complessità. La chiave sta nel trovare il giusto equilibrio tra automazione e presenza, definendo con chiarezza i punti di passaggio tra AI e operatore. L’avatar deve essere trasparente nel dichiararsi tale e pronto a cedere il passo quando serve. Solo così si garantisce un’esperienza realmente fluida, coerente e rispettosa delle aspettative del cliente.

Normative, etica e privacy: cosa devono sapere le aziende

L’integrazione degli avatar AI nei processi di customer engagement impone alle aziende di affrontare in modo strutturato le questioni normative, etiche e di protezione dei dati, necessarie a costruire un rapporto con gli utenti fondato su fiducia, trasparenza, sicurezza e inclusività. In particolare, due normative europee segnano oggi il perimetro di riferimento: il GDPR (Regolamento UE 2016/679) e il recente AI Act (Reg. UE 2024/1689).

GDPR e AI Act: requisiti di trasparenza e consenso

L’avatar AI utilizzato per l’assistenza clienti deve identificarsi chiaramente come sistema automatizzato, indicando chi gestisce i dati, per quali finalità e con quali modalità. Se l’interazione prevede la raccolta di informazioni personali (nome, e-mail o dati comportamentali), è necessario ottenere un consenso esplicito e tracciabile, conforme ai requisiti GDPR.

L’AI Act impone inoltre che gli utenti siano consapevoli di stare interagendo con un sistema di intelligenza artificiale, soprattutto quando la simulazione di empatia o umanità potrebbe indurre in errore. La trasparenza è oggi più che mai un diritto dell’utente.

Privacy by design e security by default

Per essere conformi, gli avatar AI devono essere progettati secondo i principi di privacy by design e by default. Ciò significa:

  • Limitare la raccolta dei dati allo stretto necessario.
  • Anonimizzare o pseudonimizzare i dati trattati.
  • Garantire la protezione attraverso misure di sicurezza informatica (crittografia, accesso selettivo, logging delle attività).

La protezione del dato personale deve essere integrata nel sistema fin dalla progettazione, e non aggiunta in un secondo momento, in un approccio che riduce il rischio di violazioni, abusi o perdite di dati sensibili.

SLA e responsabilità condivise con i fornitori AI

Nel caso in cui l’avatar venga fornito da partner esterni o integrato tramite piattaforme AI di terze parti, è fondamentale definire accordi contrattuali chiari (SLA) che stabiliscano:

  • Le responsabilità reciproche in caso di incidenti, malfunzionamenti o violazioni di dati.
  • Le modalità di supervisione umana (come previsto dall’AI Act).
  • Le misure di auditing e aggiornamento continuo del sistema.

Una governance solida del rapporto con i fornitori è essenziale per garantire la compliance normativa e la continuità operativa, proteggendo sia l’azienda sia l’utente finale.

Inclusione e accessibilità

L’etica dell’AI impone che gli avatar siano progettati in modo equo, non discriminatorio e accessibile. Ciò significa:

  • Evitare bias nei dataset di addestramento, che potrebbero generare comportamenti discriminatori.
  • Testare le interazioni per garantire equità di trattamento, indipendentemente da etnia, genere, età, lingua o livello di alfabetizzazione digitale.
  • Rendere l’interfaccia accessibile a utenti con disabilità visive, uditive o motorie, secondo gli standard WCAG e le linee guida europee.

Un avatar inclusivo è sia una buona pratica etica che un vantaggio competitivo: amplia il target potenziale, migliora la reputazione e riduce il rischio di sanzioni.

Il futuro del customer engagement: scenari e trend

Secondo le più recenti proiezioni di mercato, il settore degli avatar AI crescerà con un tasso annuo composto (CAGR) superiore al 30% fino al 2032, trainato dalla crescente domanda di interazioni personalizzate, continue e multicanale.

Tuttavia, la vera trasformazione riguarda la natura stessa del customer engagement. Gli avatar AI stanno evolvendo da strumenti di automazione a interlocutori digitali capaci di leggere il contesto, interpretare segnali emotivi e anticipare i bisogni dell’utente. Si sta affermando un modello predittivo, empatico e adattivo, in cui l’esperienza del cliente diventa più naturale, fluida e coerente lungo tutti i touchpoint.

L’integrazione con strategie omnicanale diventa dunque cruciale: gli avatar AI sono chiamati a coordinarsi con CRM, e-commerce, live chat, app mobile e customer care umano per costruire un’esperienza senza frizioni e ad alto valore percepito.

Allo stesso tempo, si rafforza il paradigma della collaborazione uomo-AI: l’intelligenza artificiale potenzia il capitale umano, liberandolo dalle attività a basso valore e supportandolo con insight, dati e automazione. I brand che sapranno costruire questo equilibrio beneficeranno di team più agili, clienti più soddisfatti e una proposta di valore più solida.

Gli avatar AI sono un cambio di paradigma che richiede visione, metodo e responsabilità, ma offre opportunità concrete: maggiore efficienza e scalabilità operativa; incremento di brand fidelity e customer satisfaction; capacità di innovazione del modello relazionale e differenziazione sul mercato. 

Le sfide, come abbiamo visto, sono altrettanto reali e spaziano dalla gestione del cambiamento culturale all’interno dell’organizzazione alla garanzia di trasparenza e conformità normativa, il tutto integrando le tecnologie AI in azienda in modo armonico e sostenibile. Per affrontare con successo questa transizione, serve un partner strategico che sappia leggere i trend, tradurli in soluzioni concrete e accompagnare l’azienda passo dopo passo.

Naxa supporta le imprese nell’adozione di tecnologie AI per il customer engagement, combinando consulenza strategica, governance digitale e visione progettuale. 

Contattaci: costruiremo insieme un ecosistema relazionale che evolve con il tuo mercato e i tuoi clienti.

SEO, AEO, GEO: differenze e strategie per farsi trovare (e citare) nel 2025

Ne abbiamo già parlato in più occasioni: negli ultimi anni, il modo in cui le persone cercano informazioni online è cambiato radicalmente. Non ci limitiamo più a digitare qualche parola su Google e scorrere i risultati: ci aspettiamo risposte immediate, sintetiche e possibilmente già pronte. Soprattutto, non ci importa che arrivino da un motore di ricerca, un assistente vocale o un’interfaccia AI.

È un cambio di paradigma che impatta profondamente le strategie digitali delle aziende, specie quelle vogliono essere visibili online senza sprecare tempo e risorse. Per farsi trovare (e scegliere) serve oggi un approccio integrato, che consideri le tre dimensioni complementari della visibilità digitale:

  • SEO (Search Engine Optimization): per posizionarsi nei motori tradizionali, come Google o Bing, e in quelli emergenti.
  • AEO (Answer Engine Optimization): per essere selezionati come risposta diretta in snippet, box informativi e query vocali.
  • GEO (Generative Engine Optimization): per essere citati, sintetizzati e valorizzati dalle nuove AI generative, come ChatGPT, Copilot o Perplexity.

A seguire, spiegheremo cosa significano queste sigle, in cosa differiscono e, soprattutto, come combinarle in una strategia concreta ed efficace, ideale in particolare (ma non solo!) per le esigenze delle piccole e medie imprese.

SEO: il punto di partenza per ogni strategia digitale

Cos’è la SEO e come funziona oggi

SEO è l’acronimo di Search Engine Optimization, ovvero l’insieme di tecniche finalizzate migliorare il posizionamento di un sito web nei risultati organici dei motori di ricerca. Il suo obiettivo è semplice ma strategico: farsi trovare dalle persone giuste nel momento in cui cercano qualcosa di specifico. Per una PMI, significa apparire tra i primi risultati quando un potenziale cliente digita una query rilevante.

I fattori che determinano il posizionamento organico sono numerosi, ma i principali possono essere riassunti in quattro aree:

  • Parole chiave: selezionare e utilizzare keyword pertinenti, coerenti con l’intento di ricerca dell’utente.
  • Link building: ottenere link in entrata da siti autorevoli, che rafforzano la credibilità del proprio dominio.
  • Struttura tecnica del sito: navigazione chiara, tempi di caricamento rapidi, sito responsive e ben organizzato.
  • User Experience (UX): offrire contenuti utili, leggibili e semplici da consultare, sia da desktop che da mobile.

In pratica, la SEO aiuta a intercettare la domanda consapevole: chi cerca un prodotto o un servizio e vuole trovarlo in fretta, partendo da Google o Bing.

Cosa è cambiato nella SEO con l’AI

Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale ha modificato profondamente il funzionamento dei motori di ricerca. Algoritmi sempre più sofisticati come RankBrain, BERT o MUM comprendono il significato delle query, l’intenzione dell’utente e il contesto in cui la ricerca avviene.

Ciò significa che la SEO non può più basarsi su elenchi di keyword o contenuti generici. Oggi, per posizionarsi bene è necessario:

  • Lavorare sull’ottimizzazione semantica: non solo cosa si dice, ma come lo si dice, ossia con un linguaggio naturale e pertinente.
  • Usare long-tail keyword, cioè frasi più articolate e specifiche che riflettono le reali domande degli utenti.
  • Scrivere contenuti di valore, ben strutturati, che rispondano in modo chiaro a bisogni concreti.

La SEO resta fondamentale ma evolve, ed è proprio da questa evoluzione che nascono le nuove logiche di AEO e GEO, che vedremo nelle prossime sezioni.

AEO: essere la risposta, non solo un risultato

Cos’è l’Answer Engine Optimization

L’AEO (Answer Engine Optimization) segna un’evoluzione della SEO per un nuovo tipo di motore: quello che fornisce risposte, non solo elenchi di link.

Parliamo di snippet in evidenza su Google, box informativi, risposte vocali degli assistenti digitali o sintesi generate da motori come Perplexity o Bing Copilot. In tutti questi casi, l’obiettivo non è attirare clic ma essere scelti direttamente come risposta alla domanda dell’utente.

Per riuscirci, i contenuti devono rispettare requisiti molto precisi:

  • Chiarezza: risposte brevi, comprensibili, prive di ambiguità.
  • Struttura efficace: paragrafi ordinati, titoli espliciti, uso corretto di H2/H3.
  • Autorevolezza: contenuti supportati da fonti affidabili, firmati da esperti, aggiornati.
  • E-E-A-T: Google e altri motori premiano i contenuti che dimostrano Esperienza, Expertise, Autorevolezza e Affidabilità.

L’AEO è la strategia che permette a un contenuto di “salire in cattedra” e farsi ascoltare, diventando la risposta che l’utente cercava.

Quali contenuti funzionano meglio in ottica AEO

Per essere selezionati come risposta diretta, serve un formato che l’intelligenza artificiale possa leggere e comprendere facilmente.

Ecco cosa funziona meglio:

  • Q&A: inserire domande esplicite seguite da risposte sintetiche e dirette.
  • Titoli interrogativi: usare H2/H3 formulati come domande aiuta i motori a capire il focus del paragrafo.
  • Paragrafi TL;DR: brevi riassunti iniziali (Too Long; Didn’t Read) aiutano l’utente… e l’AI.
  • FAQ con markup strutturato: utilizzare il formato JSON-LD per le FAQ migliora l’indicizzazione nei risultati avanzati e nei box risposta.
  • Linguaggio naturale e tono diretto: scrivere come si parla (senza banalizzare) migliora l’efficacia comunicativa anche per l’AI.

Facciamo un esempio concreto: invece di scrivere “Per ottenere visibilità online è necessario seguire determinate pratiche di ottimizzazione…”, meglio partire da “Come posso migliorare la visibilità del mio sito?” e rispondere in modo semplice e mirato.

Questo approccio è particolarmente adatto alle PMI, che spesso lavorano su contenuti informativi, guide pratiche e presentazioni di servizi. Trasformare tali contenuti in risposte dirette è un’opportunità accessibile, anche senza grandi investimenti.

SEO e AEO: concorrenti o alleati?

La SEO tradizionale punta a portare traffico al sito, scalando la SERP. L’AEO punta invece a offrire una risposta immediata, spesso visibile prima ancora che l’utente clicchi.

Sono strategie diverse? Sì, ma non in conflitto.

SEO e AEO lavorano insieme per aumentare la visibilità complessiva. La prima intercetta chi cerca di approfondire. La seconda cattura chi vuole una risposta rapida. Integrarle significa:

  • Presidiare più punti della customer journey.
  • Aumentare la probabilità di essere individuati da chi cerca soluzioni specifiche.
  • Migliorare la percezione di autorevolezza del brand.

Per le PMI come per le grandi aziende, investire in contenuti ottimizzati per entrambe le logiche è una mossa saggia: si massimizza la visibilità senza dover raddoppiare gli sforzi. Basta strutturare i contenuti con metodo, chiarezza e attenzione ai reali bisogni dell’utente.

GEO: l’ottimizzazione per i motori generativi

Cos’è la Generative Engine Optimization

La Generative Engine Optimization – o GEO – è la nuova frontiera dell’ottimizzazione dei contenuti digitali. A differenza della SEO tradizionale (che punta a scalare la SERP) e dell’AEO (che mira a diventare una risposta diretta), la GEO si concentra su un obiettivo specifico: essere citati dalle intelligenze artificiali generative, come ChatGPT, Copilot, Claude o Perplexity.

In questo nuovo scenario, non conta solo apparire nei risultati di ricerca ma diventare una fonte riconosciuta, attendibile e facilmente sintetizzabile dai modelli AI. I contenuti ottimizzati in ottica GEO vengono infatti letti, interpretati, rielaborati e incorporati nelle risposte generate dall’intelligenza artificiale, spesso senza che l’utente finale visiti il sito originale.

L’obiettivo della GEO è duplice:

  • Essere selezionati come fonte di informazione affidabile dai motori generativi.
  • Farsi citare con accuratezza all’interno delle risposte AI, guadagnando visibilità, autorevolezza e potenziale traffico indiretto.

In pratica, l’AI si comporta come un lettore iper-efficiente: analizza milioni di contenuti e “sceglie” quelli più chiari, approfonditi e ben strutturati per costruire le sue risposte. Se il tuo sito è l’origine di uno di questi contenuti, hai vinto la partita della GEO.

Come rendere i contenuti AI-friendly

Ottimizzare per la GEO significa parlare il linguaggio delle AI generative, offrendo contenuti accessibili, utili e semanticamente strutturati.

Ecco i principali accorgimenti:

  • Struttura semantica forte: l’AI preferisce i contenuti ben organizzati, con titoli chiari, sottotitoli coerenti (H2/H3), paragrafi distinti per argomento. Meglio ancora se il sito è organizzato in topic cluster, cioè insiemi di articoli interconnessi che approfondiscono un tema da più angolazioni.
  • Linguaggio naturale e chiarezza espositiva: niente giri di parole, tecnicismi eccessivi o testi “da manuale”. Le AI generative valorizzano contenuti scritti in modo chiaro, conversazionale e orientato alla spiegazione. Meglio “Come funziona un impianto fotovoltaico?” che “Analisi dei parametri di efficienza energetica”.
  • Esperienza e dati concreti: le AI sono progettate per riconoscere l’autorevolezza. Contenuti che citano fonti, esperienze aziendali reali, casi studio, benchmark e dati aggiornati hanno più probabilità di essere ritenuti utili. Una PMI che racconta come ha risolto un problema tecnico per un cliente, ad esempio, ha più possibilità di essere citata rispetto a una descrizione astratta del servizio.
  • Ottimizzazione per ricerche conversazionali e zero-click: le query che attivano l’uso dell’AI sono spesso formulate in modo naturale. Ecco qualche esempio: “Chi ha inventato il codice QR?”, “Come funziona un CRM per PMI?”, “Perché il mio sito non compare su Google?”. Rispondere a queste domande, anticipandole nei titoli o nei paragrafi introduttivi, aiuta le AI a riconoscere i contenuti come rilevanti.

Un contenuto GEO-friendly non deve per forza essere “marketing oriented”: al contrario, vince chi spiega bene, con chiarezza, profondità e affidabilità. E se è vero che le risposte AI tendono a ridurre il traffico diretto, lo è altrettanto che la citazione come fonte accresce la visibilità e l’autorevolezza del brand, rendendo la reputazione online più solida e duratura.

Come scegliere la giusta strategia (e perché integrare tutti gli strumenti)

La domanda che molte imprese si pongono è: da dove partire? La risposta giusta, come spesso accade nel marketing digitale, non è una sola. Ogni strategia – SEO, AEO o GEO — ha obiettivi e modalità diverse, ma tutte convergono verso lo stesso scopo: essere presenti nel momento in cui l’utente cerca una soluzione.

Ecco perché non si tratta di scegliere una tecnica a scapito delle altre, ma di integrarle in modo intelligente, in base agli obiettivi di business, alla maturità digitale e alle risorse disponibili.

SEO per essere trovati

Per chiunque voglia iniziare a costruire una presenza digitale efficace, la SEO resta la prima tappa obbligata.

È grazie alla SEO che un sito diventa visibile nei motori di ricerca tradizionali come Google e Bing. È con la SEO che si intercettano le ricerche consapevoli, quelle in cui l’utente sa già cosa vuole (un prodotto, un servizio, una risposta) e cerca attivamente chi può offrirgliela.

Per un’azienda, ciò significa:

  • Comparire tra i primi risultati per query strategiche legate al proprio settore.
  • Generare traffico qualificato e tracciabile.
  • Aumentare le probabilità di trasformare una visita in un contatto commerciale.

In altre parole, la SEO ti fa trovare da chi ti sta già cercando.

AEO per fornire risposte al volo

Se la SEO porta utenti al sito, l’AEO lavora a monte: intercetta la domanda e la soddisfa direttamente nei risultati di ricerca anche quando l’utente non clicca.

In un momento storico in cui le persone cercano risposte rapide e sintetiche (soprattutto da mobile o tramite comandi vocali), l’Answer Engine Optimization è una leva preziosa per:

  • Presidiare query frequenti (es. “Quanto costa un impianto fotovoltaico?”, “Come si fa la fatturazione elettronica?”).
  • Comparire in snippet, box informative e ricerche vocali.
  • Rafforzare la credibilità del brand, poiché chi offre una risposta chiara viene percepito come competente.

Per le aziende, spesso già abituate a rispondere ogni giorno alle stesse domande dei clienti, l’AEO è una naturale estensione dei contenuti informativi, trasformati in asset digitali ad alta visibilità.

GEO per comunicare autorevolezza

A differenza di SEO e AEO, che lavorano nel qui e ora del motore di ricerca, la GEO gioca una partita più ampia e strategica: posizionarsi come fonte attendibile per le AI generative che rispondono agli utenti. Questo approccio ha un impatto più profondo e duraturo, dal momento che consolida la reputazione del brand come punto di riferimento autorevole nel proprio settore.

Investire nella Generative Engine Optimization significa:

  • Scrivere contenuti utili, ben strutturati e facilmente “leggibili” dai modelli AI.
  • Costruire un archivio di risorse informative che può essere citato, riassunto o linkato da assistenti intelligenti.
  • Contribuire alla nuova catena di valore della conoscenza digitale.

Anche se si tratta certamente di un investimento a medio-lungo termine, per le imprese che vogliono distinguersi dalla concorrenza e aumentare la propria credibilità online la GEO è una leva di differenziazione sempre più rilevante. 

Conclusione: le aziende hanno bisogno di nuova visibilità – a misura di AI

SEO, AEO e GEO sono tre prospettive complementari per affrontare un cambiamento reale: gli utenti cercano risposte, le AI le selezionano e i contenuti devono saper parlare a entrambi.

Per le aziende, è il momento giusto per aggiornare la propria presenza digitale ed evolvere nel modo in cui si comunica online: partire dalla SEO, affiancare un approccio AEO, prepararsi alla GEO.

Naxa supporta PMI e grandi organizzazioni in questo percorso con un approccio completo e flessibile, aggiornato sulle ultime evoluzioni dell’ecosistema AI + search e sempre tarato sugli obiettivi concreti di business.

Vuoi che il tuo brand venga trovato, scelto e citato online? Contattaci per una strategia davvero efficace per la tua impresa.

Da dove prende le informazioni ChatGPT (e perché conta per il tuo business)

Per oltre due decenni, la visibilità online è stata sinonimo di una cosa soltanto: comparire tra i primi risultati di Google. In pratica, chi riusciva – con tecnica, capacità di scrittura e molto impegno – a conquistare quella posizione privilegiata otteneva traffico, opportunità commerciali e crescita

Lo scenario sta però cambiando rapidamente. Contrariamente al passato, in cui gli utenti effettuavano le loro ricerche online digitando query, le richieste passano oggi sempre più di frequente dagli assistenti vocali – modelli linguistici come ChatGPT – che vengono “incaricati” di individuare risposte e soluzioni. In questo passaggio silenzioso ma dirompente si afferma quindi un nuovo intermediario tra brand e clienti: l’intelligenza artificiale.

Di riflesso, cambia anche la domanda chiave che le aziende si pongono: da “come farmi trovare?” a “come farmi scegliere?”. Essere indicizzati non basta più: bisogna diventare la fonte che le AI riconoscono come affidabile e autorevole.

A seguire, analizzeremo le fonti da cui ChatGPT prende realmente le informazioni, quali indagini indipendenti hanno fatto emergere nuovi scenari e perché tutto questo sta ridisegnando le regole del gioco per la SEO e per la strategia digitale delle imprese.

Siamo ufficialmente entrati nell’era dell’AEO, e stiamo vivendo una trasformazione che nessuna organizzazione strutturata può permettersi di ignorare.

Da Bing a Google: l’indagine che cambia lo scenario

Per molto tempo la narrazione ufficiale è stata lineare: quando ChatGPT cercava informazioni online, lo faceva attraverso Bing. La logica era chiara: Microsoft è uno dei principali investitori in OpenAI e la partnership tecnica sembrava naturale. Tuttavia, una ricerca indipendente condotta dal ricercatore francese Alexis Rylko ha recentemente messo in discussione questa certezza, aprendo scenari ben più complessi.

Attraverso l’analisi dei file di log generati da ChatGPT – una sorta di “diario di bordo” invisibile che registra ogni query – Rylko ha scoperto un dato sorprendente. Confrontando le ricerche effettuate dal chatbot con i risultati di Bing, la corrispondenza era solo del 30%. Lo stesso confronto con Google restituiva invece un allineamento superiore al 90%, con snippet e URL quasi identici. In più, molti dei link riportavano il parametro “?srsltid”, tipico del tracciamento di Google.

A confermare che le fonti informative si stiano ampliando è arrivata anche la celebre consulente SEO Aleyda Solís, che ha evidenziato l’integrazione di Shopify come partner ufficiale di OpenAI per i dati legati all’e-commerce.

Il quadro che emerge è piuttosto evidente: l’ecosistema informativo degli LLM non è più legato a un’unica fonte, ma si muove su più fronti, spesso senza annunci ufficiali. 

Per le aziende, ciò significa che la “catena di fiducia” che porta un’informazione dall’online alla risposta di un’IA si è spostata, e ignorarlo equivale a perdere competitività in un contesto che non smette di evolvere.

Come si alimentano i modelli Open AI: le tre fonti principali

Comprendere da dove un modello come ChatGPT attinga le proprie informazioni non è un esercizio di curiosità tecnica, ma la base per interpretarne le logiche e, soprattutto, per capire come un’azienda può diventare parte di quell’ecosistema informativo

OpenAI dichiara di costruire i propri modelli su tre grandi categorie di dati, che insieme costituiscono la “materia prima” dell’intelligenza artificiale. Vediamole a seguire.

Dati pubblici

Sono i contenuti disponibili liberamente sul web: articoli, siti, documentazione tecnica, forum come Reddit, libri digitalizzati, dataset accademici. Queste fonti forniscono l’ampiezza linguistica e culturale necessaria al modello per “capire” il mondo e formulare risposte coerenti. Quella formata dai dati pubblici la componente più vasta e diversificata, ma anche la più volatile: ciò che conta è essere riconosciuti come contenuti chiari, aggiornati e autorevoli.

Dati proprietari da partnership

Accanto alle fonti pubbliche, OpenAI integra dati forniti da partner selezionati. È il caso, ad esempio, di Shopify per i contenuti legati all’e-commerce: schede prodotto, cataloghi, recensioni. Queste collaborazioni permettono di arricchire l’IA con dataset verticali e non accessibili al pubblico, ampliando la precisione delle risposte in contesti specifici.

Dati generati da utenti e ricercatori

Il modello si affina continuamente grazie al feedback degli addestratori umani, alle interazioni con gli utenti e al contributo dei ricercatori. Questo processo di “reinforcement learning” consente di migliorare la qualità delle risposte e ridurre gli errori.

Una precisazione fondamentale: non vengono utilizzati dati sensibili o proprietari delle aziende clienti senza consenso. La raccolta è orientata a fonti pubbliche o autorizzate, con filtri specifici per rispettare privacy e conformità normativa.

Dalla SEO all’AI Search: nuove regole del gioco

La Search Engine Optimization è stata per anni un’arte precisa: ottimizzare contenuti e siti per scalare le classifiche dei motori di ricerca – Google in primis – con l’obiettivo ultimo di farsi trovare. Con l’affermarsi degli assistenti conversazionali, però, è importante anche (spieghiamo in questo articolo perché la SEO resta comunque indispensabile) diventare la fonte che l’intelligenza artificiale sceglie di citare nella sua risposta (AEO).

In questa nuova logica di AI Search, l’autorevolezza pesa più del posizionamento. Un contenuto mediocre, anche se ben ottimizzato per una parola chiave, difficilmente verrà selezionato da un modello linguistico. Al contrario, una risorsa percepita come affidabile, comprensibile e completa potrà entrare nel “ventaglio ristretto” delle risposte fornite all’utente.

Il mercato sta già reagendo. Startup come Athena (nata da ex ingegneri Google) aiutano le aziende a monitorare come i chatbot parlano del loro brand. Profound, che ha raccolto oltre 20 milioni di dollari di investimenti, offre strumenti per ottimizzare la visibilità nelle risposte generative. Scrunch AI ha portato un’azienda tech, Clerk, a registrare un +9% di iscrizioni in soli sei mesi provenienti dal traffico generato da IA.

Ma questo nuovo terreno può essere anche costellato di insidie. Le cosiddette hallucinations – risposte errate o inventate dall’AI – possono ad esempio trasformarsi in una vera minaccia per la reputazione aziendale. Ancora più delicato è il tema del controllo narrativo: se un modello si basa su una recensione datata o su fonti non attendibili, un determinato prodotto o servizio potrebbe essere descritto in modo impreciso, senza possibilità di intervento diretto.

L’obiettivo attuale è quindi costruire fiducia e coerenza tali da rendere il proprio brand una fonte irrinunciabile per le intelligenze artificiali.

Esperimenti ed evidenze: si può influenzare un’IA?

Un esempio curioso ma estremamente istruttivo arriva dall’agenzia SEO Reboot. Per mettere alla prova i limiti degli LLM, il team ha orchestrato un esperimento provocatorio: incoronare il proprio CEO, Shai Aharony, come “l’uomo calvo più sexy del 2025”. Come? Creando una serie di siti a bassa autorevolezza, tutti con la stessa notizia, costruita ad hoc e priva di alcun fondamento.

Il risultato è stato sorprendente: interrogando ChatGPT o Perplexity, la risposta riportava effettivamente quella (dis)informazione, citando il nome di Aharony come fosse un dato verificato. In pratica, l’esperimento ha dimostrato che i modelli meno sofisticati possono essere “allenati” da contenuti ripetuti e coerenti, anche se privi di attendibilità.

Non tutti, però, si sono lasciati ingannare. Gemini di Google, ad esempio, ha continuato a basarsi su fonti più solide, scartando l’esperimento come non attendibile.

La lezione è chiara: manipolare un’IA è possibile, ma non è una strategia scalabile né sostenibile. Il vero vantaggio competitivo non si costruisce infatti con artifici temporanei ma con contenuti autorevoli, aggiornati e coerenti nel tempo. È questa consistenza che convince i modelli più avanzati a considerare un brand come fonte di riferimento.

Per le aziende, investire nella reputazione digitale e nella qualità dei contenuti è dunque l’unica via per “entrare” davvero nella conoscenza delle intelligenze artificiali.

Il traffico è ancora una metrica utile?

Per anni, il traffico web è stato il parametro di riferimento per misurare il successo di una strategia digitale. Più visite significava più opportunità di vendita, più lead, più ricavi. Ma nell’era delle risposte generate dall’IA questa equazione rischia di non reggere più. Rand Fishkin, fondatore di SparkToro, l’ha definita senza mezzi termini una vanity metric: il traffico è una metrica di vanità.

Con l’affermarsi delle zero-click search, l’utente ottiene la risposta direttamente in pagina (o, sempre più spesso, dall’assistente AI) senza neppure visitare il sito di origine. Ecco perché il numero di visite diventa, di per sé, meno rilevante e ciò che davvero conta è cosa accade dopo: tassi di conversione, richieste di preventivo, acquisti, iscrizioni a una newsletter, sottoscrizioni a un servizio.

Per un e-commerce o un’azienda B2B, la metrica chiave non è più il volume di traffico ma la capacità di trasformare ogni interazione in valore concreto. Al contrario, per editori e media digitali il traffico resta vitale, perché alimenta i ricavi pubblicitari. Ma anche in questo settore affidarsi a un’unica fonte di monetizzazione è diventato rischioso: algoritmi, ad-blocker e nuove abitudini di consumo possono erodere in un attimo la base di visite.

La parola d’ordine è quindi diversificazione: modelli basati su abbonamenti, contenuti premium, eventi, prodotti a marchio proprio. In un ecosistema digitale sempre più instabile, sopravvive chi non misura solo la quantità di pubblico, ma la qualità della relazione costruita con esso.

Come farsi scegliere da un’IA: linee guida per le aziende

Se la SEO tradizionale puntava tutto sulle keyword, oggi la priorità è ribaltata: presidiare una parola chiave non basta, e bisogna diventare l’autorità riconosciuta su un topic. Oltre alla frequenza di un termine, gli LLM valutano infatti anche la profondità e la coerenza con cui un argomento viene trattato.

Passare da keyword-first a topic-first

Significa sviluppare contenuti che coprono in modo esaustivo un tema, anticipando le domande che l’utente potrebbe porre a un’IA. Non una singola pagina ottimizzata, ma un ecosistema di risorse coerenti che costruiscono autorevolezza.

Costruire autorità tematica

La qualità prevale sulla quantità. Schede prodotto complete, whitepaper, case study e articoli specialistici devono diventare il “corpus” a cui un modello non può non attingere. L’obiettivo è che il brand sia percepito come fonte attendibile a prescindere dal canale.

Curare reputazione e citazioni

Recensioni, menzioni su media di settore, discussioni sui forum: ogni punto di contatto contribuisce a definire l’immagine del brand che un’IA raccoglie e sintetizza. Si passa quindi dalla SEO al vero e proprio reputation management.

Monitorare la presenza negli LLM

Strumenti emergenti permettono di analizzare come un brand viene citato nelle risposte generative. È un campo ancora giovane, ma che offre insight preziosi per correggere e indirizzare la percezione AI.

Affidarsi a competenze consulenziali

Leggere la logica dei modelli e trasformarla in strategia richiede esperienza. Un partner SEO esperto diventa indispensabile per guidare l’azienda nel nuovo scenario dell’AI Search.

In sintesi: farsi scegliere da un’IA comporta necessariamente una strategia complessiva che unisca contenuto, reputazione e governance digitale.

Quali next step per le aziende?

La transizione dall’era della SEO tradizionale all’AI Search non è un cambiamento graduale, ma un salto di paradigma che impone alle aziende di muoversi con rapidità e metodo. Quali sono, quindi, le azioni immediate da mettere in campo?

Audit dei contenuti aziendali

La prima domanda da porsi è semplice: i miei contenuti sono percepiti come autorevoli? Un’analisi critica delle risorse già online (come schede prodotto, whitepaper, case study, articoli blog) permette di identificare punti di forza, lacune e aree da arricchire.

Rafforzare il brand positioning

Nell’era degli LLM, la chiarezza conta. Occorre presidiare i temi chiave con una strategia di branding solida, che trasmetta coerenza e autorevolezza in ogni punto di contatto.

Investire in strumenti di monitoraggio AI Search

Il mercato si sta dotando di soluzioni che permettono di tracciare come i chatbot descrivono prodotti e servizi. È un investimento ancora pionieristico, ma essenziale per anticipare criticità e cogliere opportunità.

Prepararsi al quadro normativo

La regolamentazione europea – dal Digital Markets Act alle direttive su AI e data governance – influenzerà inevitabilmente le dinamiche di raccolta e utilizzo dei dati. Essere pronti a gestire questi aspetti significa ridurre i rischi e tutelare la competitività.

Affidarsi a partner specializzati

Interpretare i segnali e trasformarli in strategia non è un esercizio da improvvisare. Affidarsi a un consulente esperto come Naxa significa dotarsi di una bussola per leggere la nuova mappa della visibilità digitale e trasformare l’incertezza in vantaggio competitivo.

Contattaci oggi stesso per un confronto con i nostri consulenti.

Lead generation con i social: trasformare i follower in contatti di valore

Ancora oggi, molte PMI percepiscono i social network come semplici canali di visibilità o spazi in cui “farsi notare”. In realtà, queste piattaforme andrebbero interpretate come strumenti concreti per generare contatti di valore, costruire relazioni e avviare percorsi di vendita strutturati.

Con miliardi di utenti attivi e sistemi di targeting sempre più sofisticati, Facebook, Instagram, LinkedIn, TikTok e altri canali offrono anche alle realtà medio-piccole la possibilità di attrarre potenziali clienti, raccogliere informazioni strategiche e alimentare un funnel di conversione misurabile. Il tutto con investimenti flessibili e scalabili, calibrabili in base agli obiettivi e al pubblico di riferimento.

Vediamo allora come strutturare una strategia efficace di lead generation social, dai contenuti ai canali, fino agli aspetti legali.

Cosa significa fare lead generation con i social

Fare lead generation con i social significa utilizzare piattaforme come Facebook, Instagram, LinkedIn o TikTok per generare contatti utili al business. Il focus strategico si sposta quindi dal semplice comunicare all’attrarre le persone giuste, coinvolgerle con contenuti di valore e spingerle a compiere un’azione concreta: lasciare il proprio contatto, iscriversi a un evento, scaricare una guida, richiedere una consulenza.

Questo processo si basa su quattro elementi chiave:

  • Contenuti pertinenti, che rispondono a un’esigenza reale, risolvono un dubbio o offrono spunti concreti.
  • Lead magnet, ovvero offerte gratuite ad alto valore percepito (come e-book, webinar o demo) in cambio di un contatto.
  • Campagne advertising, per intercettare utenti specifici grazie a sistemi di targeting avanzato.
  • Moduli di contatto o landing page, ottimizzati per raccogliere informazioni in modo semplice, sicuro e immediato.

In pratica, una strategia di lead generation sui social ha l’obiettivo di costruire un funnel, cioè un percorso strutturato che accompagna l’utente dall’interesse iniziale fino al primo contatto commerciale: un’opportunità preziosa per ogni PMI che voglia crescere in modo misurabile e sostenibile.

I vantaggi della lead generation social per le PMI

Fare lead generation con i social media offre alle PMI un mix di vantaggi difficilmente replicabile da altri canali. Il primo è la visibilità: le piattaforme social raggiungono miliardi di utenti ogni giorno e permettono anche alle realtà più piccole di ritagliarsi uno spazio, farsi conoscere e dialogare con un pubblico in target.

A ciò si aggiunge un elemento cruciale: il rapporto tra costi e risultati. Rispetto ai canali tradizionali, le campagne social richiedono infatti investimenti più contenuti e offrono un alto grado di flessibilità: si possono testare creatività, segmenti di pubblico, formati e messaggi in modo rapido e misurabile.

Grazie al targeting avanzato, è possibile selezionare il pubblico in base a dati demografici, interessi, comportamenti online, ruolo professionale e altro ancora. Il risultato è una comunicazione più efficace e focalizzata, che evita dispersioni e aumenta la probabilità di generare lead qualificati.

Inoltre, i social favoriscono l’interazione diretta e immediata con gli utenti: commenti, messaggi, risposte in tempo reale permettono di costruire una relazione più umana e reattiva, fondamentale per trasformare il contatto in opportunità di business.

Ultimo ma non meno importante, le piattaforme offrono strumenti di misurazione puntuale: ogni visualizzazione, clic, iscrizione o conversione può essere tracciata e analizzata, consentendo di ottimizzare le campagne in modo continuo e basato sui dati.

Perché conviene anche nel B2B?

Contrariamente a quanto si pensa, la lead generation social non è una strategia solo B2C. Nel B2B, i social permettono di raggiungere decision maker, buyer e professionisti in modo mirato, spesso con un approccio più personale e meno “istituzionale” rispetto ai canali classici.

Piattaforme come LinkedIn offrono strumenti pensati specificamente per il B2B, ma anche Facebook può rivelarsi molto efficace per intercettare target professionali, grazie al suo bacino vastissimo e alle opzioni di profilazione avanzata.

In più, le dinamiche di coinvolgimento tipiche dei social – come live streaming, webinar, video tutorial, casi studio – si adattano perfettamente a un funnel B2B, dove il processo decisionale è più lungo e basato su contenuti di valore.

Ecco quindi che, con l’approccio giusto, i social possono diventare un acceleratore di fiducia e relazione anche in ambito business, soprattutto se inseriti in una strategia strutturata e omnicanale.

Le piattaforme più efficaci (e come sceglierle)

Non esiste un social network “migliore in assoluto” per fare lead generation: ogni piattaforma ha caratteristiche, pubblico e logiche specifiche. La scelta più efficace dipende da chi si vuole raggiungere, con quale messaggio e in quale fase del funnel. Per molte PMI, la strategia vincente consiste nel combinare più canali, adattando linguaggio e obiettivi a ciascuno.

Vediamo i principali social utilizzati oggi per generare contatti e quali vantaggi offrono.

Facebook e Instagram (Meta): i pilastri del social advertising 

Con oltre 3 miliardi di utenti attivi, Facebook e Instagram sono ancora oggi un riferimento solido per le campagne di lead generation, anche in ambito B2B4C o local.

Attraverso strumenti come Lead Ads – moduli integrati che permettono di acquisire contatti senza uscire dalla piattaforma – è possibile costruire funnel diretti ed efficaci. A questi si affiancano call to action personalizzabili, funzionalità di retargeting e la possibilità di integrare la raccolta contatti con CRM e strumenti di marketing automation.

Grande punto di forza di questi canali è la presenza di gruppi, community e interazioni native, che facilitano il coinvolgimento, la fiducia e la diffusione organica dei contenuti. Tali caratteristiche li rendono ideali soprattutto per attività locali, servizi consulenziali o prodotti dalla forte componente visuale.

LinkedIn: la scelta primaria per il B2B

Se l’obiettivo è generare contatti qualificati nel mondo business, LinkedIn è il canale più indicato. La piattaforma consente di dialogare direttamente con figure decisionali e professionisti in target, in un contesto autorevole e orientato al lavoro.

Tra gli strumenti più efficaci troviamo:

  • i Lead Gen Forms, moduli di contatto precompilati e integrati negli annunci;
  • l’InMail marketing, che consente di inviare messaggi diretti mirati a profili selezionati;
  • Sales Navigator, per costruire elenchi personalizzati, monitorare attività e avviare un social selling strutturato.

In un contesto B2B, LinkedIn si presta particolarmente a campagne che offrono contenuti di valore, come e-book, whitepaper, demo gratuite o inviti a webinar, con l’obiettivo di iniziare una relazione commerciale basata sulla fiducia.

TikTok e Instagram Reels: per visibilità ed engagement

Anche per le PMI, TikTok e Instagram Reels possono rappresentare un’opportunità interessante per generare lead, soprattutto nelle fasi iniziali del funnel (Awareness e Consideration).

Come è ormai noto a tutti, questi canali valorizzano contenuti video brevi, autentici e ad alto impatto, ideali per costruire una narrazione visiva del brand e attirare l’attenzione di un pubblico giovane, dinamico e sempre più curioso anche in ambito professionale.

Funzionalità come i moduli di lead generation nativi, le live interattive e lo storytelling in sequenza permettono di trasformare l’engagement in azione. Reels e TikTok si prestano anche a promuovere lead magnet rapidi, come quiz, sondaggi, coupon o download immediati.

X (ex Twitter): per creare hype e interazione live

X, il social precedentemente noto come Twitter, resta un canale utile soprattutto per generare interazioni in tempo reale, stimolare la partecipazione su argomenti caldi e creare “buzz” intorno a un lancio, evento o iniziativa specifica.

Le campagne sponsorizzate, i sondaggi interattivi, l’uso strategico di hashtag e le offerte a tempo sono strumenti efficaci per costruire hype e attirare lead, specialmente nei settori tech, eventi e comunicazione.

Anche se meno strutturato rispetto ad altre piattaforme per la raccolta contatti diretta, X può essere integrato come touchpoint iniziale, utile ad attirare traffico verso una landing page o una campagna cross-platform.

Lead gen sui social: strategie operative per generare contatti reali

Una buona strategia di lead generation social richiede metodo, strumenti giusti e un percorso costruito per portare l’utente dal primo contatto alla conversione. Le PMI, anche con risorse contenute, possono ottenere risultati significativi puntando su azioni mirate e facilmente replicabili.

Vediamo alcune delle tattiche più efficaci per trasformare l’interesse in contatto concreto.

Ottimizzare il profilo aziendale

Il primo step è assicurarsi che il profilo social dell’azienda sia ottimizzato per convertire, non solo per essere “bello da vedere”. Tutte le piattaforme che abbiamo menzionato offrono spazi specifici per inserire:

  • Una bio chiara, che comunichi l’identità e l’offerta dell’azienda.
  • Link cliccabili, da collegare a una landing page o a un modulo contatto.
  • Call to action esplicite (es. “scarica la guida”, “richiedi una demo”).
  • Strumenti per raccogliere contatti, come i moduli nativi o i pulsanti “contattaci”.

Per aumentare l’efficienza, è utile integrare queste azioni con CRM e strumenti di automazione come HubSpot, Mailchimp o Zapier: in questo modo ogni lead raccolto viene automaticamente registrato e può essere alimentato con e-mail, follow-up o notifiche commerciali.

Usare lead magnet efficaci

Un lead magnet è un contenuto gratuito che offre valore immediato in cambio di un contatto. È quindi uno degli strumenti più efficaci per avviare una relazione: l’utente riceve qualcosa di utile, e l’azienda ottiene un lead interessato.

Alcuni esempi pratici:

  • E-book o white paper informativi.
  • Webinar su un tema rilevante per il settore.
  • Demo gratuite di un prodotto o servizio.
  • Coupon sconto, soprattutto in ambito B2B4C.

La chiave è la personalizzazione: ogni lead magnet deve parlare a uo pubblico specifico, in uno specifico momento del funnel. Ad esempio, un contenuto “base” funziona nella fase di scoperta, mentre nella fase decisionale servono contenuti più tecnici o orientati all’azione.

Sfruttare i contenuti generati dagli utenti (UGC)

Le recensioni, i commenti, i casi studio condivisi spontaneamente dai clienti sono tra i contenuti più persuasivi in assoluto. Perché? Semplice: gli utenti si fidano di altri utenti più di quanto si fidino dei brand.

Inserire testimonianze nei post, rilanciare commenti positivi, mostrare l’esperienza reale di altri clienti permette quindi di costruire credibilità, senso di appartenenza e fiducia sociale.

Nei settori B2B o consulenziali, anche un semplice commento positivo a un webinar può essere trasformato in un contenuto da rilanciare. Nel B2C, foto o video dei clienti che usano un prodotto possono diventare una leva potente di conversione.

Organizzare eventi live o contest

Eventi in diretta e contest interattivi sono ottimi strumenti per coinvolgere e raccogliere lead in modo spontaneo. Alcuni format da considerare:

  • Live Q&A per rispondere a domande frequenti o presentare novità.
  • Giveaway con iscrizione tramite modulo o commento.
  • Dirette tematiche con ospiti o clienti.

Queste attività aumentano l’interazione, rendono il brand più accessibile e stimolano l’iscrizione volontaria, spesso accompagnata da un maggiore livello di interesse. L’importante è offrire qualcosa in cambio: contenuto, visibilità, premi o accesso privilegiato.

Automatizzare la qualificazione dei lead

Una volta raccolti, i lead devono essere qualificati, ossia valutati in base al loro potenziale interesse o alla fase in cui si trovano nel funnel. Oggi è possibile farlo anche in modo automatico, grazie a strumenti come:

  • Chatbot su Facebook, Instagram o LinkedIn, programmati per fare domande e raccogliere risposte.
  • Moduli avanzati con domande filtro (es. budget, settore, ruolo).
  • AI Assistant integrati in sito o CRM per segmentare e indirizzare il lead nel flusso corretto.

Un esempio concreto: una campagna Facebook Ads può utilizzare un modulo nativo con domande multiple (es. “In che settore lavori?”, “Hai già un fornitore?”). In base alle risposte, il lead può essere taggato automaticamente nel CRM e ricevere comunicazioni personalizzate.

Lead generation e privacy: cosa non dimenticare

Generare lead attraverso i social significa anche raccogliere dati personali, spesso sensibili. Per questo, la conformità alle normative sulla privacy – prima fra tutte il GDPR – è sia un obbligo legale che un elemento per costruire fiducia.

Ogni attività di raccolta contatti deve essere accompagnata da:

  • Un’informativa chiara, che spieghi cosa verrà fatto con i dati raccolti.
  • Il consenso esplicito dell’utente, soprattutto se i dati saranno utilizzati per scopi promozionali o remarketing.
  • Strumenti di raccolta dati sicuri e verificabili, sia nei moduli nativi delle piattaforme (come Facebook Lead Ads o LinkedIn Lead Forms) sia nelle landing page collegate.

È importante anche verificare che vi sia coerenza tra quanto dichiarato e quanto fatto: ad esempio, se il form promette solo l’invio di un eBook, l’utente non deve poi ricevere pubblicità non richiesta.

Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda l’integrazione con il CRM o gli strumenti di automazione: ogni dato deve essere tracciabile, aggiornabile e facilmente cancellabile in caso di richiesta da parte dell’utente.

Ricorda sempre che la trasparenza non solo tutela l’azienda, ma migliora l’esperienza dell’utente e aumenta la probabilità di generare contatti realmente interessati.

Per concludere: la lead generation sui social, se ben progettata, si dimostra una delle leve più potenti a disposizione delle PMI. Non serve un budget enorme, ma metodo: contenuti coerenti, call to action chiare, strumenti di raccolta efficaci e attenzione alla privacy.

Per ottenere risultati concreti, meglio quindi partire da una strategia semplice ma ben definita, coerente con gli obiettivi e le risorse disponibili. Solo così sarà possibile trasformare la visibilità in relazione, e la relazione in opportunità di business.

Vieni a prendere un caffè in Naxa e parlane coi nostri esperti!

Accessibilità e inclusione digitale: progettare esperienze senza barriere

L’accessibilità dei siti web è diventata un imperativo strategico per tutte le organizzazioni che operano in ambito digitale. Oltre che ad una questione etica o sociale, siamo oggi di fronte a un vero e proprio obbligo normativo con importanti ricadute operative, economiche e reputazionali.  Con l’entrata in vigore dell’European Accessibility Act (EAA), avvenuta il 28 giugno 2025, anche molte imprese private saranno tenute a garantire l’accessibilità di siti e applicazioni digitali secondo standard tecnici internazionali come le WCAG

Per le organizzazioni che operano su larga scala, l’obbligo si traduce in una serie di adeguamenti strutturali e culturali, ma apre anche a nuove opportunità: migliorare l’esperienza utente, rafforzare la reputazione aziendale, anticipare le evoluzioni normative e costruire una presenza digitale più solida e inclusiva sono tutti step oggettivamente vantaggiosi per qualunque brand. 

A seguire, diamo un’occhiata ai riferimenti normativi, ai principi progettuali e alle implicazioni strategiche legate all’accessibilità web, offrendo anche alcune indicazioni operative per accompagnare il processo di adeguamento in modo efficace e sostenibile.

Cos’è l’accessibilità digitale e perché è davvero strategica

L’accessibilità digitale comprende l’insieme di principi, pratiche e tecnologie che rendono i contenuti e i servizi online fruibili da ogni persona, in ogni condizione. Attenzione: non riguarda esclusivamente utenti con disabilità permanenti come limitazioni visive, uditive, motorie o cognitive, ma anche situazioni temporanee o contestuali: una connessione internet lenta, uno schermo riflettente, una capacità di attenzione limitata, l’uso di un dispositivo mobile in ambienti poco favorevoli.

In questo senso, progettare una piattaforma online in modo accessibile significa costruire esperienze digitali inclusive per una pluralità di utenti reali, superando la logica del “design medio” e abbracciando una visione orientata all’universalità. È un’estensione concreta del concetto di user-centricity, che considera l’accessibilità come condizione abilitante per garantire autonomia, equità e partecipazione.

Per le aziende, investire in accessibilità significa ridurre il digital divide, ampliare la propria base utenti, migliorare l’esperienza di navigazione e rafforzare il posizionamento in chiave ESG. Di fatto, è quindi un’opportunità concreta per generare valore sostenibile e duraturo.

Il nuovo scenario normativo: tra Legge Stanca ed European Accessibility Act

Il quadro normativo italiano in materia di accessibilità digitale affonda le sue radici nella Legge 4/2004 (nota come “Legge Stanca”), nata per garantire la fruibilità dei servizi online da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Tuttavia, con l’introduzione dell’European Accessibility Act (EAA) – recepito in Italia tramite decreto legislativo e pienamente operativo dal 28 giugno 2025 – l’obbligo di accessibilità si estende anche al settore privato, modificando in profondità gli equilibri attuali.

Nello specifico, saranno coinvolte tutte le imprese che superano i 10 dipendenti o i 2 milioni di euro di fatturato annuo, con focus particolare su settori ad alta esposizione digitale, come e-commerce, servizi bancari e finanziari, trasporti, editoria digitale e piattaforme online.

Le sanzioni previste in caso di inadempienza sono significative: fino a 40.000 euro o il 5% del fatturato annuo, oltre a possibili esclusioni da gare pubbliche e bandi di finanziamento. Anche la reputazione aziendale può subire un impatto rilevante, soprattutto in contesti ESG-sensitive.

A livello operativo, il rispetto della normativa si fonda sulle linee guida AgID, che recepiscono i requisiti tecnici delle Web Content Accessibility Guidelines (WCAG) nella versione 2.1 (livello AA minimo) o successive. Il rispetto formale degli standard richiede però un adeguamento organizzativo continuo, che coinvolge governance, processi di sviluppo digitale e aggiornamento dei fornitori, oltre alla pubblicazione della dichiarazione di accessibilità aggiornata.

Per le grandi aziende soprattutto, l’accessibilità si trasforma quindi in un fattore strutturale da presidiare a livello di compliance, user experience e sostenibilità digitale.

WCAG e standard internazionali: i 4 principi per progettare senza barriere

Abbiamo accennato al fatto che il riferimento tecnico principale per l’accessibilità digitale è rappresentato dalle Web Content Accessibility Guidelines (WCAG), redatte dal W3C (World Wide Web Consortium) e recepite ufficialmente dalle linee guida AgID. 

Le WCAG definiscono uno standard riconosciuto a livello internazionale e si basano su quattro principi fondamentali, riassunti nell’acronimo POUR:

  • Percepibile: le informazioni e gli elementi dell’interfaccia devono essere visibili e comprensibili per ogni utente. Tale approccio include l’uso di testi alternativi per le immagini, sottotitoli nei contenuti multimediali e un adeguato contrasto tra testo e sfondo.
  • Operabile: tutti i componenti del sito devono essere utilizzabili anche senza mouse, ad esempio tramite tastiera o comandi vocali. È poi fondamentale garantire la visibilità del focus e l’assenza di elementi dinamici che impediscano l’interazione.
  • Comprensibile: i contenuti devono essere espressi con linguaggio chiaro, le azioni devono essere prevedibili e le istruzioni coerenti. L’esperienza utente non può più basarsi su presupposti impliciti o eccessiva complessità.
  • Robusto: il sito deve essere compatibile con i principali browser, screen reader e altre tecnologie assistive, garantendo stabilità nel tempo anche a fronte di aggiornamenti tecnologici.

Oltre ai quattro principi base, le WCAG si articolano in livelli di conformità crescentiA (minimo), AA (intermedio), AAA (avanzato) – che determinano l’ampiezza e la profondità delle misure da adottare. Il livello AA è lo standard minimo richiesto in Italia per la conformità normativa, mentre il livello AAA è raccomandato per progetti ad alta esposizione pubblica o sociale.

Con l’introduzione delle WCAG 2.2, retrocompatibili con la versione 2.1, sono stati poi introdotti 9 nuovi criteri di successo orientati in particolare a migliorare l’esperienza di utenti con disabilità cognitive e motorie, oltre che a ottimizzare la navigazione su dispositivi mobili. 

Tra i più rilevanti citiamo:

  • Focus non oscurato, per garantire visibilità costante degli elementi attivi.
  • Dimensione minima degli elementi interattivi (almeno 24×24 px).
  • Autenticazione accessibile, con alternative ai test cognitivi standard.
  • Aiuto coerente e riduzione delle ridondanze, per alleggerire il carico cognitivo dell’utente.

Comprendere e implementare questi criteri richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga progettisti UX/UI, sviluppatori, content strategist e compliance manager. In questo senso, le WCAG non sono un vincolo, ma un’opportunità per progettare ambienti digitali più solidi, inclusivi e sostenibili.

Rendere un sito accessibile: da obbligo tecnico a leva di business

Per le aziende che adottano una visione strategica, l’accessibilità digitale può trasformarsi in una leva competitiva ad alto potenziale: investire in essa significa infatti progettare esperienze digitali più smart, più inclusive e, soprattutto, più efficaci.

In primo luogo, un sito accessibile espande sensibilmente la platea degli utenti raggiungibili: si stima che oltre il 20% della popolazione europea presenti una qualche forma di disabilità. A questi si aggiungono utenti senior, persone in contesti di fruizione limitata (es. connessioni lente, dispositivi mobili, ambienti rumorosi) e utenti temporaneamente inabili.

L’accessibilità ha anche un impatto diretto su SEO e performance: i siti conformi alle WCAG tendono a essere più ordinati, semantici e ben strutturati, quindi più facilmente indicizzabili e premiati dai motori di ricerca. L’effetto è un miglioramento della visibilità organica, della velocità di caricamento e della fruizione cross-device.

Inoltre, progettare in ottica accessibile migliora la user experience complessiva, riducendo il tasso di abbandono e facilitando la conversione. Si crea così un’esperienza più fluida e coerente per tutti gli utenti, non solo per quelli con disabilità.

Dal punto di vista reputazionale, l’accessibilità contribuisce a posizionare l’azienda su valori di inclusività, responsabilità e innovazione sostenibile. È un elemento sempre più valorizzato nelle valutazioni ESG, nei processi di open innovation e nelle gare pubbliche, dove il rispetto dei criteri di accessibilità è spesso vincolante o premiante.

In sintesi, un sito accessibile è sia conforme che più efficace, visibile e performante: un asset strategico che integra compliance, design e reputazione in un’unica visione di crescita digitale responsabile.

Cosa devono fare le aziende (da subito): adempimenti, strumenti, roadmap

L’adeguamento ai requisiti di accessibilità non può essere affidato a interventi spot né relegato a una semplice verifica di conformità tecnica. Serve invece un approccio strutturato, progressivo e trasversale che coinvolga più funzioni aziendali, dall’IT al legal, dal marketing alla progettazione UX/UI.

Per iniziare, è utile seguire una checklist operativa che consenta di definire le priorità e pianificare gli interventi:

  • Pubblicare la dichiarazione di accessibilità, aggiornata e facilmente accessibile sul sito e sulle app aziendali, come previsto dalla normativa.
  • Eseguire un audit tecnico approfondito su tutti i touchpoint digitali (siti, app, piattaforme interne), per valutare il livello di conformità rispetto agli standard WCAG.
  • Garantire il rispetto del livello AA delle WCAG 2.1 o 2.2, come richiesto dalle linee guida AgID e dall’European Accessibility Act.
  • Pianificare attività di testing regolari, utilizzando sia strumenti automatici (validatori open source, tool AgID) sia test manuali condotti da esperti e utenti con disabilità.
  • Formare i team interni e i fornitori IT sui principi dell’accessibilità, affinché diventi un criterio progettuale nativo e non un intervento correttivo ex post.
  • Integrare i requisiti di accessibilità nei progetti digitali fin dalla fase di concept e design, con attenzione particolare alla UX, alla scrittura dei contenuti e allo sviluppo del front-end.

Una roadmap efficace prevede un assessment iniziale seguito dalla definizione di un piano d’azione modulare, con obiettivi misurabili e milestone temporali. Le priorità vanno assegnate ai contenuti core e ai servizi ad alta esposizione pubblica, per poi estendere gradualmente l’intervento all’intero ecosistema digitale. Fondamentale infine è attivare un monitoraggio continuo, per garantire la sostenibilità del processo nel tempo.

L’obiettivo non è solo adeguarsi, ma rendere l’accessibilità parte integrante del ciclo di vita dei progetti digitali: dalla governance al rilascio, dalla manutenzione al miglioramento continuo.

Accessibilità digitale e cultura d’impresa: un cambio di paradigma

Affrontare l’accessibilità come un semplice adempimento normativo rischia di produrre soluzioni temporanee, frammentate o poco efficaci. Per generare un impatto reale, ossia sostenibile, misurabile e duraturo, l’accessibilità deve diventare parte integrante della cultura organizzativa

Ciò implica inevitabilmente un coinvolgimento trasversale: non solo i team IT e UX, ma anche le funzioni legal, HR, CSR e compliance devono essere parte attiva nel presidio dei requisiti di accessibilità. Serve un modello di governance che allinei progettazione, sviluppo e comunicazione ai principi dell’inclusività digitale.

Allo stesso tempo, è essenziale aprire il dialogo con gli stakeholder esterni: utenti reali, community di riferimento, fornitori tecnologici, enti certificatori e partner progettuali. Il confronto continuo consente di maturare consapevolezza, correggere eventuali criticità e costruire una catena del valore accessibile a tutti i livelli.

La sfida è passare dalla logica del progetto una tantum a un processo continuo di miglioramento, che evolve insieme all’organizzazione e al contesto tecnologico. Solo così si raggiunge una vera “maturità accessibile”, in cui la conformità è un punto di partenza, non di arrivo. Dotarsi degli strumenti giusti, coinvolgere le funzioni chiave e adottare una prospettiva di lungo periodo significa non solo ridurre il rischio normativo, ma anche ampliare l’impatto, migliorare l’esperienza utente e rafforzare la reputazione aziendale.

In Naxa, supportiamo le aziende in questo percorso con competenze strategiche, visione progettuale e approccio operativo.
Contattaci per un assessment personalizzato e inizia a costruire oggi un ecosistema digitale davvero accessibile.

Bing: il canale online per il B2B. Come utilizzarlo e perché può essere efficace

Tutti sappiamo che è Google a dominare la scena, quando si parla di motori di ricerca e strategie digitali. Esiste però un altro canale rilevante per le aziende che operano nel B2B: Bing. Spesso sottovalutato, Bing non è solo “l’altro motore di ricerca”, ma uno spazio strategico in cui le PMI possono ottenere maggiore visibilità, lead qualificati e ritorni più misurabili, anche con budget limitati.

A renderlo interessante sono diversi fattori: una base utenti composta da professionisti e decision-maker, costi per clic più contenuti rispetto a Google Ads e un’integrazione diretta con LinkedIn, la piattaforma business per eccellenza. A questi si aggiunge il potenziale delle nuove tecnologie AI, come l’integrazione con ChatGPT, che apre nuove possibilità per intercettare ricerche ad alto valore.

A seguire, spieghiamo perché Bing va considerato un canale efficace per il marketing B2B e come le PMI possono sfruttarlo al meglio per rafforzare la propria presenza digitale, generare lead e diversificare i canali di acquisizione.

Perché considerare Bing nella tua strategia B2B digitale

Qualità dell’audience: meno generalista, più professionale

Bing non ha mai cercato di competere con Google sul piano dei numeri assoluti. La sua forza risiede piuttosto nella qualità dell’audience: una base utenti composta in larga parte da professionisti, dirigenti, manager e imprenditori, spesso operativi in contesti corporate. Numerosi studi confermano che gli utenti Bing hanno in media un’età più alta, un potere d’acquisto superiore e una maggiore propensione alla ricerca di soluzioni complesse – una combinazione ideale per il mondo B2B.

Per una PMI, significa poter raggiungere direttamente i decisori d’acquisto, evitando la dispersione tipica di altri canali. Questa qualità del traffico si traduce ovviamente in una maggiore probabilità di generare lead qualificati e richieste concrete.

Concorrenza più bassa negli Ads, che porta a maggiore visibilità

Un altro vantaggio concreto per le PMI è la minore competitività delle aste pubblicitarie. Su Bing, il costo per clic (CPC) è generalmente più basso rispetto a Google Ads, anche nei settori tecnologici e professionali. Ciò consente di massimizzare la visibilità anche con budget limitati, ottenendo performance spesso superiori in termini di ROI.

In un contesto B2B dove il ciclo di acquisto è lungo e il contatto qualificato conta più del volume, Bing è quindi una scelta strategica per chi vuole emergere senza sovra-investire.

L’integrazione con LinkedIn: targeting di precisione

Uno degli elementi più innovativi dell’ecosistema Bing è la sinergia con LinkedIn, resa possibile dalla piattaforma Microsoft Advertising. Ciò consente di creare campagne che utilizzano dati reali e aggiornati dei profili professionali, per raggiungere il proprio pubblico ideale in modo molto più mirato.

Le aziende possono selezionare i destinatari in base a:

  • Nome dell’azienda.
  • Settore industriale.
  • Funzione lavorativa o ruolo decisionale.

È il principio dell’Account-Based Marketing (ABM) applicato alla pubblicità sui motori di ricerca. Per le PMI, questo approccio si traduce nella possibilità di parlare direttamente ai buyer o ai responsabili acquisti delle imprese target, ottimizzando ogni euro investito.

Il vantaggio dell’early adoption

Nonostante queste potenzialità, molte aziende italiane non hanno ancora integrato Bing nella propria strategia digitale. L’opportunità è quindi preziosa: c’è oggi la reale possibilità di posizionarsi prima dei competitor, intercettare nicchie meno presidiate e costruire autorevolezza in un contesto meno saturo.

L’early adoption in un canale emergente come Bing permette di testare, apprendere e migliorare prima che l’affollamento aumenti, proprio come è accaduto per altri canali oggi mainstream (Google in primis). Per le PMI più lungimiranti, il momento di agire è adesso.

Come utilizzare Bing per attrarre nuovi clienti in ambito B2B

Bing Ads e Microsoft Advertising

La piattaforma pubblicitaria di Bing – oggi Microsoft Advertising – offre strumenti avanzati per costruire campagne su misura per il B2B. Il processo di setup è simile a quello di Google Ads, ma con possibilità uniche per le PMI che operano in contesti professionali.

Abbiamo accennato al fatto che la vera forza risiede nella segmentazione basata su dati LinkedIn, e nella possibilità di creazione di inserzioni indirizzate a:

  • Ruoli aziendali specifici (es. Marketing manager, CTO, responsabili acquisti).
  • Settori industriali di riferimento (es. Manifatturiero, ICT, logistica).
  • Aziende target, anche con una logica di account-based marketing.

Per ottenere risultati efficaci, è importante:

  • Scegliere parole chiave molto mirate, preferendo le cosiddette exact match.
  • Scrivere copy chiari, professionali e orientati al valore, con una CTA visibile.
  • Testare più formati: dagli annunci espansi alle estensioni di chiamata, fino ai form di contatto integrati (se disponibili).

Grazie alla sua struttura snella e a una platea di pubblico meno dispersiva, Bing Ads consente di intercettare lead altamente profilati, mantenendo sempre sotto controllo il budget.

Bing Places for Business: presenza locale B2B

Per le PMI con una sede fisica o un presidio territoriale, Bing Places for Business è lo strumento ideale per rafforzare la visibilità a livello locale. Gratuito e semplice da configurare, questo strumento digitale consente di creare una scheda aziendale completa con:

  • Indirizzo, orari, contatti e descrizione dell’attività.
  • Logo e immagini professionali.
  • Collegamento al sito e alle piattaforme social.

Oltre a migliorare la reputazione e l’affidabilità percepita, una scheda aggiornata permette di presidiare le mappe e le ricerche localizzate, intercettando aziende e professionisti nella propria area.

Un aspetto interessante per il B2B è che anche Bing Places dialoga con LinkedIn, e i segnali provenienti dalla piattaforma possono contribuire al posizionamento della scheda. Integrare questa attività con una strategia di Local SEO rafforza la coerenza del brand su più canali e migliora la reperibilità nei momenti chiave della customer journey.

Lead generation e tracciamento

Uno dei principali vantaggi di un funnel ben realizzato risiede nella possibilità di monitorare ogni interazione e ottimizzare le performance. Microsoft Advertising mette a disposizione strumenti di analytics avanzati per seguire tutto il percorso dell’utente, dall’impressione iniziale fino alla conversione. Le PMI possono così analizzare il rendimento delle parole chiave utilizzate, confrontare le performance su diversi dispositivi e orari, valutare l’efficacia degli annunci su base geografica e ottimizzare progressivamente ogni aspetto della strategia.

A chi utilizza piattaforme di CRM o marketing automation, Bing consente inoltre un’integrazione fluida con software come HubSpot, Salesforce o Zoho, semplificando la gestione dei lead e l’automazione dei follow-up. In questo modo, ogni contatto generato attraverso le campagne può trasformarsi in una relazione strutturata e monitorabile, favorendo una crescita sostenibile e un miglior ritorno sull’investimento nel medio-lungo periodo.

In che modo la SEO su Bing è diversa dalla SEO su Google?

Ottimizzare la propria presenza sui motori di ricerca significa oggi adottare una strategia SEO differenziata: ciò che funziona su Google non sempre produce gli stessi risultati su Bing. Comprendere le differenze tra i due algoritmi è fondamentale per massimizzare la visibilità, soprattutto nel B2B, dove la precisione e la qualità del traffico sono più rilevanti della quantità.

Su Bing, la corrispondenza esatta delle parole chiave è ancora un fattore determinante. A differenza di Google, che tende a interpretare l’intento semantico dell’utente, Bing privilegia quindi le query scritte in modo diretto e preciso. Per le aziende che operano in mercati verticali o altamente tecnici, questa caratteristica può tradursi in un vantaggio concreto: basta individuare le keyword giuste e inserirle in modo mirato nei contenuti.

Un altro aspetto distintivo riguarda l’autorità storica del dominio. Bing attribuisce maggiore valore all’età e alla stabilità di un sito web, premiando le realtà consolidate anche se non pubblicano contenuti con elevata frequenza. Per le PMI che sono da tempo presenti online, questa impostazione può generare risultati rapidi e tangibili.

Diversamente da Google, Bing considera poi attivamente i segnali social, in particolare quelli provenienti da LinkedIn e Twitter (oggi X). La condivisione di contenuti su questi canali è sia utile per la brand awareness che al posizionamento organico: di fatto, tale funzionalità offre dunque un’interessante opportunità strategica.

Anche dal punto di vista tecnico ci sono differenze significative. Bing attribuisce un peso maggiore ai meta tag e ai dati strutturati, trattandoli in modo più “letterale” rispetto a Google. Titoli e descrizioni ben scritti, chiari e pertinenti influenzano in modo diretto la posizione in SERP e la percentuale di clic, offrendo maggiore controllo editoriale.

I contenuti multimediali (come immagini, video, PDF) sono anch’essi valorizzati da Bing in misura superiore. L’ottimizzazione degli attributi come l’alt text, le didascalie e le descrizioni dettagliate può dunque contribuire a un migliore ranking, soprattutto in ricerche con intento informativo o tecnico.

Infine, l’integrazione con la ricerca conversazionale e l’AI generativa segna un’ulteriore distinzione. Attraverso il collegamento con ChatGPT, Bing favorisce contenuti scritti con un linguaggio naturale e orientato alla risposta. Questo approccio conversazionale è particolarmente utile nel segmento B2B, dove le ricerche tendono a essere complesse e articolate. Titoli chiari, sottotitoli coerenti, paragrafi ben suddivisi e un lessico tecnico ma accessibile aiutano l’algoritmo a selezionare il contenuto più adatto per rispondere agli utenti.

Bing diventa così non solo un motore di ricerca, ma anche un motore di risposta: per le PMI, essere visibili in questo nuovo scenario significa posizionarsi come esperti del proprio settore, aumentando la fiducia e la probabilità di essere scelti da chi cerca una soluzione affidabile e concreta.

In sintesi, adottare una doppia strategia SEO, ossia calibrata su entrambi i motori, permette di presidiare in modo più completo il percorso di ricerca dell’utente. Google resta il canale dominante in termini di volumi, ma Bing può offrire lead più qualificati, risultati più veloci e spazi meno saturi, soprattutto per le PMI che operano in settori specialistici.

Vuoi scoprire se Bing può davvero fare la differenza per la tua impresa?

In Naxa possiamo supportarti nello sviluppo di strategie mirate, integrate e orientate ai risultati.


Contattaci
per una consulenza personalizzata.

Come costruire una go-to-market strategy efficace con il framework MOVE

Cicli sempre più brevi, incertezza crescente, competizione globale: è così che potremmo riassumere il complesso mercato attuale. È dunque facile comprendere perché le aziende – specialmente quelle già ben strutturate – non possano più permettersi strategie di go-to-market generiche o poco allineate con l’esecuzione quotidiana: servono invece modelli che coniughino visione strategica e operatività concreta, necessarie a guidare la crescita, supportare l’espansione e abilitare la scalabilità.

Il framework MOVE nasce con questo obiettivo: offrire uno strumento pratico per costruire e implementare una go-to-market strategy realmente eseguibile. Strutturato attorno a quattro dimensioni – Market, Operations, Velocity, Expansion – MOVE consente di allineare obiettivi di business, processi interni e azioni commerciali, adattandosi ai diversi livelli di maturità aziendale.

A seguire, analizziamo in dettaglio ciascun pilastro del framework, ne vediamo l’applicazione concreta lungo le fasi di sviluppo dell’impresa (startup, growth, scale-up, maturity) e offriamo alcuni strumenti operativi per trasformare MOVE in un acceleratore reale di execution GTM.

Cos’è il framework MOVE e perché è utile per costruire una GTM strategy operativa

Per molte aziende, definire una strategia di go-to-market significa ancora oggi muoversi tra modelli teorici, presentazioni strategiche e documenti che spesso restano scollegati dalla realtà operativa. Il framework MOVE colma questa distanza offrendo un approccio concreto, modulare e scalabile alla costruzione di strategie GTM.

MOVE si basa su quattro dimensioni fondamentali, ciascuna associata a una domanda operativa chiave:

  • Market – Chi dobbiamo raggiungere?

Per identificare i segmenti rilevanti, definire l’Ideal Customer Profile e costruire una segmentazione basata sull’intento.

  • Operations – Cosa ci serve per operare efficacemente?

Per strutturare processi interni condivisi, scegliere il giusto tech stack, allineare marketing, vendite e customer success.

  • Velocity – Quando e come possiamo scalare?

Per velocizzare l’onboarding dei team, garantire messaggi coerenti e definire un sistema di feedback continuo.

  • Expansion – Dove possiamo crescere di più?

Per analizzare opportunità ad alto potenziale e testare nuovi mercati, canali o modelli di offerta.

A differenza dei framework tradizionali, MOVE è orientato all’esecuzione, dal momento che ogni dimensione è accompagnata da attività pratiche, metriche tracciabili e strumenti operativi. La sua forza sta nella misurabilità delle azioni e nella adattabilità a diversi contesti, settori e fasi di crescita aziendale.

Il modello MOVE trova applicazione ideale in tutti i momenti in cui l’azienda deve affrontare una transizione significativa: il lancio di nuovi prodotti o servizi, l’ingresso in nuovi mercati, la riorganizzazione del processo commerciale o il riposizionamento strategico.

MOVE in azione: costruire una go-to-market strategy passo dopo passo

Il valore del framework MOVE risiede nella sua concretezza: ciascuna dimensione corrisponde a un’area d’azione precisa e a un set di attività che possono essere messe a terra in tempi brevi. Di seguito, vediamo come applicare ciascun pilastro alla costruzione di una go-to-market strategy realmente operativa.

M – Market: chi dobbiamo raggiungere?

Il primo passo è chiarire quale mercato è effettivamente accessibile per l’azienda. È fondamentale in questo caso distinguere tra TAM (Total Addressable Market), ossia l’intero mercato teorico, e TRM (Total Relevant Market), ovvero la porzione di mercato che può essere realisticamente servita in funzione delle risorse disponibili, del posizionamento e dei vincoli operativi.

Una volta delimitato il perimetro, il secondo passaggio consiste nella definizione dell’Ideal Customer Profile (ICP). Oltre ai dati anagrafici dell’azienda target, l’ICP include parametri firmografici (settore, dimensione, geografia), tecnografici (tool e piattaforme già in uso) e comportamentali (es. velocità nel ciclo d’acquisto, approccio all’innovazione).

La segmentazione va quindi affinata per intento: individuare chi sta già cercando soluzioni simili, usando dati di prima o terza parte, consente di prioritizzare le azioni con maggior probabilità di conversione.

  • Attività concreta: crea una mappa dei segmenti prioritari con un sistema di scoring che combini potenziale di spesa, fit strategico e segnali di interesse. Affianca a questo lavoro lo sviluppo di buyer personas realistiche e validate, costruite con dati reali e insight qualitativi raccolti da team marketing e sales.

O – Operations: come possiamo operare in modo efficace?

Il pilastro operativo del framework MOVE mira a costruire un’infrastruttura interna robusta, integrata e orientata al risultato. Per molte aziende, ciò significa uscire da una logica dipartimentale e implementare un modello di Revenue Operations (RevOps), dove marketing, vendite e customer success condividono processi, strumenti e obiettivi.

Il primo passaggio è la mappatura dei processi esistenti lungo tutto il customer journey: identificare i colli di bottiglia, le ridondanze, i passaggi poco tracciabili. Il secondo è la possibile standardizzazione e automazione dei flussi di lavoro, soprattutto nei momenti di transizione tra reparti (ad esempio: passaggio da MQL a SQL a cliente attivo).

Strumenti chiave come CRM, piattaforme di marketing automation e tool di BI devono essere integrati e costruiti su una base dati condivisa. Senza coerenza nei dati, non può esserci esecuzione efficace.

  • Attività concreta: definisci le metriche critiche (es. CAC, LTV, conversion rate per stadio di pipeline), crea dashboard condivise tra i team e formalizza le procedure operative attraverso playbook e manuali interni. Il tutto dovrà supportato da un tech stack coerente e scalabile.

V – Velocity: quando e come scalare?

Una volta costruita l’infrastruttura, il focus si sposta sulla velocità di esecuzione e sull’enablement dei team. Ricorda che scalare non significa solo “fare di più”, ma fare meglio, più velocemente e in modo replicabile.

Il primo fattore abilitante è il people ramp: processi di onboarding strutturati e materiali formativi aggiornati riducono il time-to-productivity dei nuovi ingressi. Allo stesso tempo, i team già attivi devono essere messi nelle condizioni di agire con coerenza, utilizzando messaggi e value proposition allineati.

È qui che entra in gioco la creazione di playbook condivisi tra marketing e vendite: documenti agili ma chiari, che esplicitano i punti di forza dell’offerta, gli script consigliati, le obiezioni più frequenti e i materiali da usare in ogni fase.

  • Attività concreta: implementa un programma di training continuo, con cadenze regolari (mensili o trimestrali) e accompagnato da momenti di review collettiva dei risultati. Monitora e ottimizza i tempi medi di conversione tra uno stadio e l’altro del funnel e individua i colli di bottiglia che rallentano la crescita.

E – Expansion: dove possiamo crescere di più?

Una strategia di go-to-market completa integra un piano sistematico di espansione dei mercati e dei segmenti. L’obiettivo è moltiplicare le fonti di crescita, scegliendo con lucidità dove investire risorse.

La prima azione consiste nell’identificare le aree ad alto potenziale, analizzando dati di performance, segnali di domanda latente e cluster di clienti che mostrano comportamenti affini a quelli già acquisiti. Da qui si può valutare se espandere su nuove geografie, canali distributivi o linee di offerta.

In questa fase è cruciale adottare un approccio sperimentale: nessuna espansione dovrebbe partire su larga scala senza un test controllato, che consenta di validare l’interesse del mercato e il ritorno dell’investimento.

  • Attività concreta: esegui test A/B su nuove value proposition, canali o segmenti, monitorando indicatori come conversion rate, costi di acquisizione e tempo medio alla chiusura. Al termine del test, esegui un’analisi comparativa dei risultati e decidi se scalare, modificare o interrompere.

Applicazione del framework MOVE per le diverse fasi di crescita aziendale

Uno dei punti di forza del framework MOVE è la sua flessibilità strutturata: ogni dimensione può infatti essere modulata e applicata in funzione del livello di maturità dell’azienda. Dalla startup alla fase di consolidamento, MOVE guida l’evoluzione delle strategie GTM adattandosi alle priorità e alle risorse disponibili in ogni momento.

Startup

L’obiettivo principale è validare rapidamente il prodotto e trovare un primo market fit.

  • Market: costruzione di un ICP minimo e raccolta feedback diretti con interviste e test rapidi.
  • Operations: processi snelli, strumenti leggeri, massima tracciabilità.
  • Velocity: onboarding rapido, sperimentazione su canali e messaggi.
  • Expansion: primi test su referral, community e canali indiretti.

Growth

È necessario consolidare ciò che funziona e iniziare a strutturare la macchina commerciale.

  • Market: ICP più definito, segmentazione più accurata, lead scoring.
  • Operations: introduzione di CRM evoluti e dashboard KPI.
  • Velocity: allineamento dei team su playbook condivisi.
  • Expansion: test su nuovi canali e iniziative di up-sell/cross-sell.

Scale-up

L’azienda è pronta a scalare in modo controllato e replicabile.

  • Market: espansione su nuovi cluster e territori.
  • Operations: RevOps formalizzato, tech stack integrato.
  • Velocity: workflow automatizzati, formazione scalabile.
  • Expansion: apertura di nuovi mercati e partnership strategiche.

Maturity

Il focus si sposta su ottimizzazione, innovazione e difesa del mercato.

  • Market: ascolto continuo (survey, NPS, AI insight).
  • Operations: governance avanzata, progetti di continuous improvement.
  • Velocity: cultura dell’innovazione e miglioramento continuo.
  • Expansion: diversificazione di prodotti, canali e linee di business.

MOVE è quindi un framework che evolve con l’impresa: non rigido, ma solido; non teorico, ma operativo. Uno strumento che accompagna la crescita senza forzarne i tempi, offrendo metodo e scalabilità.

MOVE come strumento per integrare Marketing e Sales

Uno dei principali ostacoli all’esecuzione di una go-to-market strategy efficace è la disconnessione tra marketing e vendite: obiettivi divergenti, metriche non allineate e mancanza di comunicazione fluida rendono il percorso dal lead alla conversione frammentato e inefficiente.

Il framework MOVE può agire come base operativa per superare questa frattura, offrendo un linguaggio comune e un metodo condiviso per allineare target, processi, messaggi e obiettivi lungo l’intero customer journey.

Tutto parte dal Market, dove la definizione dell’Ideal Customer Profile diventa un’attività congiunta tra marketing e vendite. L’ICP è una bussola operativa che guida la segmentazione, la creazione dei contenuti e la qualificazione delle opportunità, e un profilo condiviso per concentrare gli sforzi su lead davvero rilevanti.

In Operations, l’integrazione di un CRM unificato, alimentato da entrambi i team, garantisce tracciabilità, visibilità e continuità nelle attività. Ad esso si affianca la standardizzazione di processi e l’adozione di KPI condivisi: non più solo MQL e SQL, ma metriche che misurano il contributo reale di ogni funzione alla pipeline e al fatturato.

Attraverso Velocity, si facilita il coordinamento delle campagne e si costruisce un flusso di feedback continuo: ciò che funziona (o non funziona) in fase di lead generation viene immediatamente trasferito alle vendite, e viceversa.

Il risultato? Lead più qualificati, minore dispersione, cicli di vendita più rapidi e ROI più elevato. MOVE diventa così un motore di integrazione tra reparti, che trasforma la strategia in esecuzione coerente e performante.

Tool e pratiche per accelerare l’espansione con MOVE

La fase di Expansion del framework MOVE è quella in cui la strategia go-to-market si confronta con il mercato reale per dimostrare la propria efficacia su scala. Per farlo serve però un approccio data-driven, supportato da strumenti, metriche e processi iterativi.

Uno dei modelli più efficaci è l’A/B testing su value proposition, canali o territori: lanciare micro-esperimenti su segmenti selezionati consente di validare (o smentire!) ipotesi commerciali prima di investire su larga scala. In parallelo, è utile attivare campagne di referral marketing per stimolare la crescita attraverso la rete dei clienti esistenti, con meccanismi incentivanti che abilitano una prima espansione organica.

Le alleanze strategiche sono un altro acceleratore: collaborare con partner complementari (es. system integrator, distributori locali, piattaforme verticali) permette di accedere a nuovi mercati, condividere risorse e costruire offerte congiunte ad alto valore.

A livello operativo, le aziende possono dotarsi di dashboard KPI dinamiche, strumenti di co-selling integrati nei CRM e modelli di analisi predittiva per individuare segmenti a più alta probabilità di conversione. L’utilizzo di tecnologie AI, ad esempio per stimare la propensione all’acquisto o personalizzare le offerte, può moltiplicare la precisione delle decisioni e il ritorno sugli investimenti.

La fase di espansione deve partire sempre da una domanda chiave: qual è il nostro attuale livello di maturità GTM e dove possiamo ottenere il massimo impatto? Solo da qui può nascere una roadmap realmente efficace.

Desideri costruire una GTM strategy realmente eseguibile? Naxa è pronta a guidarti passo dopo passo: contattaci!

TikTok: come creare una strategia vincente

TikTok ha ormai superato la fase del “fenomeno passeggero” per diventare un canale consolidato nel panorama del marketing digitale. A renderlo particolarmente interessante per le PMI sono tre elementi chiave: accessibilità, visibilità organica engagement reale.

Numericamente parlando, la piattaforma continua a crescere in termini di utenti attivi, con una base sempre più diversificata che affianca alla Gen Z anche Millennials e Gen X, dimostrandosi uno strumento efficace per target differenti. E il suo ormai noto formato video breve ben si adatta alle esigenze delle imprese: richiede investimenti contenuti, permette produzioni agili e offre una resa immediata in termini di attenzione e memorabilità.

Tuttavia il vero punto di forza di questo social network è l’algoritmo: TikTok non privilegia i brand più grandi o i profili con milioni di follower, ma i contenuti che riescono a coinvolgere davvero. Ciò significa che anche una piccola realtà, se strategica e ben posizionata nella propria nicchia di riferimento, può ottenere risultati significativi in termini di reach, coinvolgimento e brand awareness.

Il primo passo di una social media strategy? Definire gli obiettivi

Prima ancora di girare il primo video, è essenziale chiedersi: cosa vogliamo ottenere da TikTok? Una strategia efficace parte sempre da obiettivi chiari e misurabili, perché ogni scelta – dai contenuti al tone of voice – dipende da questa direzione iniziale.

Le PMI possono ambire a diversi traguardi: aumentare la brand awareness, generare engagement, stimolare conversioni o lavorare sulla fidelizzazione (brand loyalty). Ciascuno di questi obiettivi richiede linguaggio, tipo di contenuto e metriche di riferimento diverse.

  • Per la brand awareness funzionano format narrativi, challenge o video informativi che raccontano il brand in modo creativo.
  • Se l’obiettivo è l’engagement, meglio puntare su trend, contenuti interattivi e format che stimolino like, commenti o duetti.
  • Le conversioni possono essere supportate da video con call to action chiare, codici promo e collaborazioni con creator rilevanti.
  • La brand loyalty si costruisce mostrando il dietro le quinte, la quotidianità, o rispondendo ai commenti con video personalizzati.

Ecco un esempio B2C: un brand del settore Food può sfruttare TikTok per raccontare ricette veloci con i propri prodotti, invitando gli utenti a replicarle. Nel B2B, un’azienda che sviluppa software gestionali per le imprese può creare brevi tutorial animati o contenuti in stile “myth busting” per spiegare in modo semplice i vantaggi di soluzioni cloud, rispondere a domande frequenti o mostrare come si risolvono problemi reali.

Definire gli obiettivi sin dall’inizio aiuta a scegliere meglio i contenuti, valutare i risultati e ottimizzare ogni risorsa investita.

Conoscere e segmentare il proprio pubblico ideale

Una strategia TikTok efficace parla con precisione a chi può davvero diventare cliente, brand ambassador o parte attiva della community. Conoscere il proprio pubblico ideale significa capire chi sono le persone che vogliamo coinvolgere, cosa considerano interessante, come comunicano e soprattutto perché dovrebbero seguirci.

L’analisi demografica: chi usa TikTok oggi

Abbiamo accennato al fatto che, nel 2025, TikTok non è più il regno esclusivo della Gen Z. Cresce l’uso da parte di Millennials e giovani Gen X, con una forte presenza femminile e un aumento di content creator professionali anche nel mondo B2B. Siamo quindi di fronte a uno spazio interessante non solo per brand giovani e informali, ma anche per aziende strutturate che vogliono aggiornare il proprio linguaggio.

Interessi, passioni e linguaggi h3

TikTok è organizzato in micro-community basate su interessi: #BookTok, #BizTok, #CleanTok, solo per citarne alcune. Comprendere dove si posiziona il proprio brand in questo ecosistema aiuta a intercettare conversazioni rilevanti, farsi largo con contenuti coerenti e instaurare legami autentici.

TikTok Analytics e Ads Manager

Alle PMI che hanno un account Business, TikTok mette a disposizione dati utilissimi: età media, genere, provenienza geografica, orari di attività, video più visti e tipo di interazione. Attraverso TikTok Ads Manager è possibile stimare la dimensione del target, esplorare segmenti in base agli interessi e testare contenuti diversi in modo strutturato.

Micro-nicchie e comunità specifiche

Lavorare su community piccole ma ben definite è una delle strategie più efficaci, perché è in esse che i contenuti autentici trovano il terreno più fertile. Coinvolgere creator che parlano già a queste nicchie permette di contribuire a dialoghi già attivi, riducendo i generalismi e aumentando l’affinità.

La segmentazione precisa è quindi uno dei principali motori dell’engagement su TikTok.

Cosa pubblicare su TikTok? Formati, storytelling e trend

Una volta definiti obiettivi e pubblico, arriva la domanda cruciale: che tipo di contenuti funzionano davvero su TikTok? La risposta non sta tanto nella spettacolarità, quanto nell’autenticità e nella coerenza con il proprio brand. TikTok è infatti una piattaforma dove l’impatto nasce spesso da idee semplici, ben eseguite e capaci di connettersi con le emozioni o le abitudini quotidiane del pubblico.

Le piccole e medie imprese possono ottenere risultati concreti con contenuti rapidi da realizzare e vicini alla propria realtà. Alcuni format particolarmente efficaci includono:

  • Tutorial e how-to: spiegazioni pratiche su come usare un prodotto o risolvere un problema.
  • Dietro le quinte: mostrare la produzione, la quotidianità del team o l’allestimento di uno stand.
  • Microstorie: racconti brevi ed emozionali legati al brand, a un cliente o a un successo raggiunto.
  • FAQ video: risposte alle domande frequenti, con un tono diretto e umano.
  • Recensioni e unboxing: con creator o direttamente con il team aziendale.

Storytelling autentico e human-centric

Lo ribadiamo nuovamente: i contenuti che funzionano su TikTok devono essere veri, perché raccontare la propria storia, mostrare il team al lavoro, condividere anche gli imprevisti o le difficoltà crea connessione. Le PMI hanno il vantaggio di poter parlare con una voce personale, lontana dal linguaggio istituzionale dei grandi brand: è proprio questo che genera fiducia.

Come partecipare (bene) a challenge e trend virali

Le tendenze cambiano rapidamente, ma partecipare ai trend del momento (quando coerenti con il brand) può dare un notevole boost alla visibilità. Il segreto è adattare il trend al proprio tono di voce e contesto. Meglio quindi evitare l’effetto “forzato” e puntare su una partecipazione ironica, originale o educativa. Anche creare una propria challenge, se ben costruita, può essere un’opportunità.

Esempi di format per prodotti, servizi e team

  • Un brand di cosmetici può mostrare i “prima e dopo” con consigli rapidi di applicazione.
  • Un’impresa edile può raccontare in time-lapse l’avanzamento di un cantiere.
  • Un fornitore di servizi digitali può sfruttare animazioni o video in stile “Did you know?” per spiegare i vantaggi di una soluzione software.
  • Un team interno può creare mini rubriche con volti aziendali che rispondono alle domande degli utenti o svelano curiosità dal backoffice.

Sperimentare, testare, ascoltare le reazioni del pubblico è parte integrante della fase creativa su TikTok. L’obiettivo non è “essere virali”, quanto piuttosto rilevanti per la propria community.

Collaborare con content creator e microinfluencer: strategia e vantaggi

Ad oggi, i microinfluencer rientrano senza dubbio tra le risorse più preziose per le PMI su TikTok. Hanno un pubblico fidelizzato, parlano la lingua della community e garantiscono contenuti autentici, spesso persino più efficaci in termini di engagement rispetto a quelli delle celebrity digitali. La collaborazione con i content creator giusti può quindi trasformare un brand locale in una voce autorevole all’interno di una nicchia specifica.

Con un seguito tra i 10.000 e i 100.000 follower, i microinfluencer offrono una relazione più diretta e personale con il pubblico, che si traduce in tassi di coinvolgimento più alti. Sono indicati per campagne genuine, localizzate e adatte a budget contenuti. Per le PMI, rappresentano un investimento accessibile e ad alto potenziale.

Attenzione, però: non tutti i profili seguiti su TikTok sono influencer. I content creator sono professionisti della narrazione visiva, capaci di trasformare un prodotto o un’idea in un contenuto virale senza apparire forzati. Gli influencer puntano invece più sull’autorità e sul prestigio del proprio profilo. Le PMI dovrebbero cercare creator capaci di raccontare il brand in modo creativo e credibile, più che disponibili a “prestare il volto” a una campagna.

Per selezionare i partner giusti per un brand, guardare il numero di follower non è sufficiente. È importante valutare anche: 

  • La coerenza tra i contenuti del creator e i valori di marca.
  • Il tone of voice usato nei video e nei commenti.
  • L’engagement medio (like, commenti, salvataggi).
  • La reattività e la disponibilità alla collaborazione.

Un’ulteriore, piccola considerazione: un buon content creator non impone uno stile, ma si adatta alla narrazione del brand mantenendo autenticità.

Il modello della Brand Fusion: relazioni locali, messaggi autentici

Nel 2025, TikTok premia anche la cosiddetta Brand Fusion: un approccio in cui le aziende collaborano con diversi creator locali per radicare il messaggio all’interno di community reali. L’obiettivo è in questo caso creare connessioni reali con pubblici specifici. In pratica, il contrario delle campagne massificate: più empatia, meno retorica.

Community first: costruire un pubblico reale e attivo

Su TikTok, avere follower non equivale ad avere una community. La differenza sta nella qualità della relazione: una strategia vincente punta a creare connessioni autentiche, non numeri privi di alcun significato. Per le PMI, questo approccio è fondamentale, poiché ogni interazione può trasformarsi in fiducia, passaparola o conversione.

L’algoritmo di TikTok valorizza i contenuti che generano interazioni reali: commenti, salvataggi, condivisioni. Un pubblico coinvolto è più propenso a seguire il brand nel tempo, suggerirlo ad altri e interagire in modo costruttivo. Rispondere ai commenti con altri video, citare gli utenti, fare domande dirette o creare contenuti a partire dai feedback ricevuti sono tutte tecniche che fanno sentire la community ascoltata. Il comment marketing trasforma l’interazione in contenuto e rende il profilo vivo, partecipativo, memorabile.

In tal senso, sconsigliamo quindi l’acquisto di pacchetti di follower perché si tratta, di fatto, di una scorciatoia che non porta valore: TikTok penalizza i profili con engagement incoerente rispetto alla base utenti, e un pubblico “finto” non interagisce, non compra e non parla del brand. 

Integrare TikTok in una strategia omnicanale

Utilizzato come punto di partenza di un’esperienza coerente che prosegue su altri canali, TikTok offre alle PMI la preziosa opportunità di rafforzare l’intera presenza digitale. Integrare TikTok in una strategia omnicanale significa aumentare l’efficacia di ogni contenuto, valorizzare l’investimento e guidare l’utente lungo un percorso chiaro.

I contenuti TikTok possono essere adattati e rilanciati su Instagram Reels o YouTube Shorts, mantenendo vivo il messaggio su piattaforme diverse e raggiungendo nuovi segmenti di pubblico.
Il traffico generato può poi essere indirizzato verso il sito aziendale per approfondimenti, contatto o acquisto, oppure verso una newsletter per costruire relazioni di lungo periodo. 

È tuttavia bene sottolineare che non bisogna duplicare i contenuti ovunque, ma adattarli al contesto: lo stesso video può avere un tono più tecnico su YouTube e uno più ironico su TikTok. L’importante è che stile visivo, messaggi chiave e call to action siano coerenti con l’identità del brand, perché soltanto in questo modo è possibile rafforzare riconoscibilità e fiducia.

Ecco qualche esempio pratico di funnel che utilizza TikTok come touchpoint d’ingresso:

  • Un video virale su TikTok genera interesse l’utente visita il profilo Instagram per vedere altri contenuti clicca sul link in bio atterra su una landing page con una promo riservata.
  • Una serie di video informativi crea autorevolezza l’utente si iscrive alla newsletter per ricevere una guida completa il brand avvia una campagna e-mail personalizzata.
  • Un contenuto TikTok mostra un prodotto in uso viene rilanciato con codice sconto su altri canali l’utente converte sul sito e riceve follow-up post vendita via e-mail.

Come avrai notato, TikTok è il gancio, ma è la strategia omnicanale a trasformare l’attenzione in relazione.

Monitorare, adattare, migliorare: la strategia è dinamica

TikTok è una piattaforma in evoluzione. Le abitudini del pubblico cambiano, i trend si susseguono rapidamente e l’algoritmo si aggiorna costantemente. Per questo, una strategia efficace non può essere statica: va monitorata, letta e riadattata con regolarità.

Oltre al numero di follower, le metriche davvero utili da tenere sotto controllo sono:

  • Reach e copertura organica dei video.
  • Watch time medio: per quanto tempo gli utenti guardano un contenuto.
  • Engagement rate: rapporto tra interazioni e visualizzazioni.
  • Follower quality: crescita reale e interazioni coerenti nel tempo.

L’account Business di TikTok fornisce dati dettagliati su pubblico, orari migliori per pubblicare, andamento dei singoli contenuti e performance delle campagne sponsorizzate. Analizzare questi numeri consente di capire cosa funziona, cosa non funziona e dove è opportuno ottimizzare.

Infine, ascoltare il pubblico – nei commenti, nei duetti, nelle domande – è spesso il miglior strumento per evolvere. Una community che si sente ascoltata è più propensa a restare, partecipare e consigliare il brand ad altri.

Bonus: gli errori comuni da evitare su TikTok

Anche con buoni contenuti e buone intenzioni, ci sono scelte che possono compromettere i risultati. Ecco gli errori più comuni da evitare, soprattutto per chi gestisce un profilo aziendale.

  • Postare senza una strategia o un calendario: l’improvvisazione può (forse) andare bene per un content creator, ma non per un brand. Senza una linea editoriale chiara, i contenuti risultano disordinati e faticano a costruire una narrazione coerente.
  • Ignorare le dinamiche della piattaforma: TikTok non è un canale qualsiasi. Ignorare il suo linguaggio, le sue regole implicite o i suoi formati nativi significa parlare “fuori contesto” e perdere l’attenzione degli utenti.
  • Usare linguaggi troppo promozionali: gli utenti scartano rapidamente i contenuti che sembrano spot pubblicitari. TikTok richiede un approccio narrativo, autentico e coinvolgente. Meglio spiegare, mostrare e raccontare, invece che cercare di vendere.
  • Essere incoerenti con il proprio tono di voce: passare da un contenuto ironico a uno istituzionale senza una logica confonde l’utente. Il tone of voice deve essere chiaro, riconoscibile e coerente con l’identità aziendale.
  • Copiare i trend senza personalizzarli: seguire un trend solo perché “va di moda” senza adattarlo alla propria realtà rischia di risultare forzato. L’efficacia sta nell’interpretazione creativa, non nella replica.

In considerazione di quanto spiegato finora, siamo certi che TikTok possa sembrare una piattaforma in qualche modo imprevedibile. Tuttavia, le sue regole sono chiare: premia l’autenticità, valorizza chi ascolta la propria community e offre spazio anche a chi parte da zero. Per una PMI, è un’occasione concreta per raccontarsi con creatività, costruire fiducia e raggiungere nuovi pubblici senza dover affrontare investimenti insostenibili.

Vuoi portare il tuo brand su TikTok in modo strategico, con contenuti autentici e risultati misurabili? In Naxa possiamo aiutarti a costruire una presenza che funziona davvero, integrata con le tue attività digitali e allineata agli obiettivi di business: contattaci!