Il termine Neuromarketing può essere definito come l’insieme delle tecniche di marketing che, combinate con le scoperte e le metodiche tipiche delle neuroscienze, si propongono di determinare forme di comunicazione più efficaci e capaci di influire sul processo decisionale dell’utenza di riferimento. In termini più pratici, il Neuromarketing è in grado di definire la risposta emotiva a un messaggio pubblicitario tramite l’analisi del cervello attraverso tecniche come la classica risonanza magnetica.
Ma quali sono i limiti etici di questa scienza? E, soprattutto, è davvero in grado di influenzare il marketing del futuro?
Senza dubbio, il Neuromarketing ha potenzialità enormi e, se sfruttato adeguatamente, può rappresentare uno strumento molto potente per i marketer che vogliono davvero “entrare nella mente dei consumatori” comprendendo le emozioni che guidano le loro scelte. Ma è davvero opportuna una fusione tra le neuroscienze che studiano i meccanismi di funzionamento del nostro cervello e il marketing che, essenzialmente, si occupa di vendita?
In realtà, la domanda è retorica perché di fatto il Neuromarketing è già utilizzato da anni, con l’obiettivo di aumentare l’effetto dei messaggi pubblicitari, dare vita a prodotti di successo e in grado di rispecchiare le aspettative dei consumatori e addirittura ideare interi brand.
Secondo Martin Lindstrom, uno dei più celebri esperti mondiali di Neuromarketing, “oltre il 30% dei 100 marchi di Fortune sta utilizzando questa metodologia per la ricerca strategica. Il Neuromarketing ha dimostrato che oggi non bisogna più vendere prodotti, ma piuttosto sedurre i clienti”.
La “scienza della mente” riesce dunque a trovare un efficace interlocutore nel marketing quando questo viene interpretato come arte della persuasione e, dunque, più nella sua dimensione psicologica che di puro selling. Un utilizzo corretto del Neuromarketing si pone dunque l’obiettivo di individuare, nel bombardamento di informazioni di cui ciascuno di nuovo è quotidianamente obiettivo, quanto le nostre decisioni siano influenzate dalla razionalità e quanto, invece, dalla sfera emotiva.
L’esperto di intelligenza emotiva Daniel Goleman conferma che “il nostro cervello è progettato, quando ci troviamo di fronte a una decisione, per valutare e soppesare emotivamente ciascuna opzione. Nessuna decisione nella vita prescinde dall’emozione, a meno che non ci troviamo nell’ambito della matematica, che è un universo puramente teorico. È un’emozione tacita, impercettibile, ma molto rilevante”.
La neuroscienziata Susan Greenfield sottolinea che attualmente “la scienza cognitiva è molto utilizzata per studiare i consumatori, attraverso tecniche di scansione del cervello. Ci sono molte ragioni. Innanzitutto non è doloroso per le persone, che possono essere pienamente coscienti. E le immagini che si ottengono, con alcune parti del cervello che si illuminano, sono belle da vedere e, almeno apparentemente, molto chiare e facili da interpretare”.
Ma il Neuromarketing sarà effettivamente parte integrante del marketing del futuro? Secondo Lindstrom, sì.
“La pubblicità non funziona più. I marketer spendono una quantità enorme di soldi e la gente non ricorda veramente nulla. Ovviamente, qualcosa succede. Forse memorizziamo le conoscenze a livello inconscio, che è quello che stiamo cercando di capire, o forse vanno solo in un buco nero: io fondamentalmente non credo che ci dimentichiamo tutto, ma che archiviamo le informazioni da qualche parte. Il Neuromarketing aiuta a capire dove vanno questi messaggi e come influiscono su di noi, ed è probabilmente la migliore e l’unica scelta che abbiamo in questo momento nella comprensione del consumatore e del futuro della pubblicità”.