18 Luglio 2018

I risultati del recente progetto Internet@Italia2018 svolto da ISTAT e FUB lasciano ben poco spazio ai dubbi: gli utenti digitali hanno scarso senso critico.

Si tratta della conclusione raggiunta esaminando i dati relativi alla diffusione di internet nell’anno 2017, e che mostrano che il 65% della popolazione italiana ha utilizzato la rete con regolarità nei precedenti dodici mesi: in questo senso, l’incremento percentuale rispetto al 2012 si attesta sui 13 punti, e riguarda in particolare le classi di età più avanzate, che risultano quasi raddoppiate.

Per quanto riguarda invece le fasce d’età più giovaniInternet@Italia2018 evidenzia che oltre il 92% degli intervistati tra i 18 e i 34 anni utilizza la rete regolarmente. La percentuale di utenti tra le persone di età compresa tra i 35 e i 44 anni ammonta invece al 90%.

Numeri più che positivi, direte voi. , se non fosse che mostrano una certa tendenza alla saturazione, che potrebbe essere confermata nell’arco del prossimo triennio. Se da un lato il digital divide generazionale risulta ormai essere stato completamente superato in termini di classi di età, rimane ancora marcato per quanto riguarda il tempo di utilizzo, le attività svolte online, e i servizi sfruttati.

Basandosi su queste premesse, sono poche ma fondamentali le domande che Internet@Italia2018 si pone: i singoli utenti hanno effettivamente le competenze necessarie per sfruttare appieno le potenzialità della rete? È necessaria un’azione di tutela della vita online da parte delle istituzioni? Se sì, in quale modo si dovrebbe intervenire? Quali saranno gli effetti dell’attuale e vastissima offerta ICT rispetto alla domanda?

La ricerca conferma la tendenza tutta in crescita relativa all’utilizzo degli smartphone come device predominante in termini di connessione. Ciò, naturalmente, vede già una risposta da parte dei brand produttori di software e hardware, che operano attivamente per offrire prodotti dalle prestazioni sempre migliori, una gamma crescente di app e modalità di interazione sempre più additive. Un dato interessante è relativo alla modalità di utilizzo degli smartphone da parte degli italiani: il 90% del tempo di connessione è trascorso sulle app, e il restante 10% sui browser. Riuscite a indovinare qual è l’app più utilizzata dagli italiani? Facebook, naturalmente, con una percentuale del 94% del tempo complessivo passato in rete.

Ma al di là di tutti questi dati, certamente interessanti, uno dei focus chiave della ricerca di Internet@Italia2018 è relativo alle cosiddette competenze digitali o “media literacy”. Esse possono essere definite come la capacità delle persone, nella loro vita online, di valutare la qualità delle informazioni, di archiviarle, recuperarle, farne un uso efficace ed etico, e infine utilizzarle per creare e comunicare conoscenza.

In pratica, con media literacy si intende l’abilità degli utenti di governare dati, informazioni e variabili utilizzando il cosiddetto pensiero critico, ossia la capacità di analisi e valutazione.

E in questo senso, il contributo decisivo è dato da alcune teorie di psicologia cognitiva. Secondo Daniel Kahneman, la mente è il risultato di un’interazione precaria tra due sistemi: il primo è più veloce e intuitivo e agisce in modo automatico; il secondo richiede un maggiore sforzo ed è più lento perché si basa sulla razionalità.

In pratica, avere pensiero critico è faticoso, perché richiede la ricerca e la valutazione delle informazioni. Se online la maggior parte degli utenti basa le proprie decisioni basandosi su euristiche veloci e automatiche, prive di ricerca e documentazione, si darà luogo alle cosiddette distorsioni del giudizio.

Una delle euristiche che gli italiani sembrano adottare più spesso online è il pregiudizio di conferma (confirmation bias), che consiste essenzialmente nella scelta inconsapevole delle informazioni che confermano o rafforzano l’idea di partenza. Tale pregiudizio di conferma si incrementa poi con le “filter bubbles”, ossia con le gabbie generate dalle nostre scelte e preferenze passate, e con le “echo chambers”, ossia con le zone di comfort digitale composte da amici, contatti e follower che condividono le nostre idee.

Le domande a cui sarà dunque necessario trovare una risposta sono semplici e complesse allo stesso tempo: come è possibile sfruttare gli immensi vantaggi della rivoluzione digitale mantenendo sempre vivo l’esercizio del senso critico durante l’utilizzo della rete? Come possiamo costruire una società critica che renda espliciti i pericoli insiti nella semplificazione di situazioni decisionali complesse? Come possiamo dare luogo a un uso formativo e critico dei nuovi media, a una competenza digitale efficace?

È importante ricordare, come diceva Zuliani, che “destreggiarsi fra notizie e dati statistici online, è una delle condizioni per essere compiutamente cittadini e per esercitare quel controllo civico alla base della democrazia”.

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